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ESG Outlook di CRIF

Crif: il 60% delle imprese presenta livelli medio bassi di adeguatezza ESG

Oltre il 30% delle aziende italiane mostra uno stadio avanzato nella transizione ESG, ma per le PMI adattarsi è più difficile. A fronte delle migliori, infatti, c’è ancora una quota di circa il 60% delle imprese che presenta livelli medio bassi di adeguatezza ESG. Lombardia e Piemonte risultano le migliori regioni per adeguatezza al rischio ambientale, mentre i settori con posizionamenti migliori sono immobiliare e leisure. Infine, i settori ad alta intensità energetica è richiesta una spesa maggiore per il processo di trasformazione, stimata in una cifra compresa tra il 3 e l’8% annuo sul fatturato. Questo è quanto emerge dall’intervento di Marco Macellari, head of risk management – ESG analysis & investing certificate di CRIF e Valeria Nale, principal di CRIF, al webinar ESG: CRIF Outlook e il progetto UNICREDIT organizzato da CRIF per presentare le principali evidenze del nuovo osservatorio sulle tematiche ESG in Italia e l’evoluzione della transizione green per le imprese.

Transizione ESG

L’osservatorio si basa su un campione di 150 mila aziende, a cui è stato assegnato uno score ESG che sintetizza il livello di adeguatezza alla sostenibilità di ciascuna azienda in base ad oltre 150 indicatori, tenendo in considerazione settore d’appartenenza e area geografica. Dall’analisi emerge che quasi il 60% delle imprese del paese si colloca a livelli medio-bassi di adeguatezza ESG, considerando nella percentuale anche settori che hanno da poco iniziato la transizione green, il 30% a uno stadio avanzato e l’8% circa a un livello molto basso

% adeguatezza alla sostenibilità delle aziende italiane, crif, oltre il 30% adeguata
Fonte: ESG Outlook, CRIF

Le aziende con fatturato superiore a 10 milioni di euro risultano meglio posizionate – il 39% si trova nelle classi ad alta e molta alta adeguatezza, rispetto al 33% delle società con fatturato inferiore. Le PMI risultano quindi più bisognose di supporto.

% adeguatezza alla sostenibilità delle aziende italiane divise per fatturato, crif, oltre il 39% alta adeguatezza
Fonte: ESG Outlook, CRIF

Adeguatezza ambientale

Il fattore ambientale, misurato da CRIF con lo Score E, è quello su cui c’è maggior attenzione anche da parte delle autorità di vigilanza. Lo studio ha trovato molta eterogeneità tra diverse regioni e settori. A livello geografico, oltre il 60% delle imprese lombarde e piemontesi ha uno Score E alto o molto alto, come oltre il 50% di quelle ligure e toscane e quasi la metà di quelle trentine e friulane. In fondo al ranking invece ci sono le società valdostane, il cui 89% ha uno Score E basso o molto basso, seguite dal 73% delle sicule, il 60% delle pugliesi, il 59% delle calabre e il 55% delle sarde. Osservando le aziende divise per settore, oltre il 60% delle imprese immobiliari e di leisure ha un’adeguatezza alta o molto alta verso il fattore ambientale, e oltre il 50% delle società attive in consulenza, trasporti e logistica, ICT, media e TLC. I settori con la più alta proporzione di adeguatezza bassa o molto bassa sono invece l’industria chimica (83%), elettronica (69%), agricoltura (67%), prodotti non metallici (66%), farmaceutica (60%) e utilities ed energia (58%).

Rischi fisici e impatto finanziario della transizione

L’ESG Outlook di CRIF valuta anche l’impatto del rischio fisico, cioè il potenziale impatto economico e finanziario dovuto al cambiamento climatico e al degrado ambientale, sia graduale che improvviso. Per quanto riguarda il rischio graduale o cronico, il 16% di tutte le imprese risulta molto esposto, mentre per il rischio improvviso o acuto, il 5,9% delle PMI registra un livello alto o molto alto.

rischio acuto e rischio cronico delle aziende italiane oltre il 16% molto esposto
Rischio acuto (a sinistra) e rischio cronico (a destra). Fonte: ESG Outlook, CRIF.

La transizione a lungo termine verso la sostenibilità ha degli impatti finanziari, sia in termini di costi che di ricavi, e lo studio di CRIF ha registrato una significativa variabilità dei costi tra i diversi settori, anche solo in termini di costi diretti per carbon tax e investimenti. Naturalmente, i settori ad alta intensità energetica come estrazione mineraria, trasporti, chimica e prodotti metallici mostrano impatti significativi, tra il 3 e l’8% annuo di costi sul fatturato. Moderati ma importanti gli impatti per la lavorazione di prodotti non metallici e la produzione e distribuzione di elettricità e gas (2-3%), mentre i servizi, le attività immobiliari e il commercio mostrano un impatto marginale.

L’esperienza di UniCredit

UniCredit riconosce la biodiversità come elemento fondante della stabilità finanziaria a lungo termine, e per questo la banca ha sviluppato un approccio metodologico per capire a quali rischi ambientali è esposta, partendo dalle singole sedi per poi arrivare a una visione di settore. I principali rischi riguardano l’inquinamento, l’efficienza energetica, l’utilizzo delle risorse idriche, la produzione di rifiuti, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi, come riportato da Fausto Sblandi, head of group climate change and environmental risk di UniCredit. Al momento, la banca si sta occupando di monitorare i KPIs scelti, capire come integrare gli obiettivi di lungo termine con i processi creditizi, e identificare una metodologia di divulgazione dei propri risultati. Un prossimo step non ancora affrontato sarà definire un approccio per misurare la materialità della dipendenza da capitale naturale.