La scienza climatica è chiara e i dati sono inequivocabili: le temperature sono aumentate nell’ultimo secolo e potrebbero raggiungere un livello insostenibile o addirittura inadatto alla vita entro il 2100. La causa principale è l’attività umana, con l’uso di combustibili fossili che rappresenta i due terzi delle emissioni di gas serra nell’atmosfera. Per questo, secondo gli esperti di Candriam, è necessario aumentare l’impegno verso il net zero, in modo tale da rendere concreta la transizione e arginare il rischio di “greenwashing” e “greenwishing” (il pensiero velleitario che mina l’ambizione dell’impresa sostenibile).
Con l’Accordo di Parigi, i Paesi si sono impegnati a limitare l’aumento delle temperature ben al di sotto dei 2 gradi, puntando a 1,5°C, un livello che potrebbe consentire al nostro ecosistema e alle nostre società di adattarsi. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario prima dimezzare le emissioni nette di CO2 entro il 2030 e poi arrivare a zero emissioni entro il 2050.
“È importante capire, tuttavia, che quando parliamo di net zero non stiamo parlando solo di un obiettivo, ma di una traiettoria”, afferma Alix Chosson, Lead ESG Analyst – Environmental Investments & Research di Candriam. La CO2 deve essere vista sia come un flusso che come uno stock accumulato. Per questo motivo, spiega l’esperta di Candriam, diverse traiettorie che portano allo zero netto entro il 2050 a ritmi diversi possono essere allineate o meno con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Una traiettoria che ritardi l’azione di decarbonizzazione a dopo il 2030 avrebbe speso tutto il budget di carbonio rimanente di 1,5°C entro quella data e non sarebbe quindi allineata con l’Accordo di Parigi, anche se arrivasse a zero netto nel 2050.
In questa fase molte aziende e paesi si sono impegnati per un obiettivo net zero, il che è positivo, ma non significa che siamo sulla strada giusta per le riduzioni delle emissioni richieste. “Le emissioni nel mondo reale non sono mai diminuite, tranne che nel 2020 a causa del Covid e nel 2021 sono tornate al di sopra del livello pre-pandemia. Nel 2022 la crisi energetica rende difficile la previsione del livello di emissioni. Tuttavia, è chiaro che le emissioni di gas serra continueranno ad aumentare se non cambiamo marcia in termini di azione per il clima”, prosegue la Chosson.
Secondo i dati di un’analisi di 25 grandi multinazionali che si sono impegnate a raggiungere l’obiettivo net zero nel 2050, le aziende hanno effettivamente assunto impegni che comportano riduzioni delle emissioni solo del 30-40% e solo del 23% entro il 2030, ben al di sotto di quanto richiesto dalla tabella di marcia di Parigi.
In effetti, la definizione di obiettivi e l’assunzione di impegni non sempre portano all’attuazione di azioni concrete. “Molti impegni in materia di clima vengono presi senza le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi dichiarati. In questo caso si parla di greenwishing. Per questo motivo, nel valutare i piani climatici delle aziende, ci concentriamo molto di più sui piani Capex (Capital Expenditure) a breve e medio termine, cioè sulle azioni concrete, che sugli impegni a lungo termine”, afferma Alix Chosson.
L’analista di Candriam sottolinea poi la necessità di maggiore coerenza e standardizzazione nel modo in cui le aziende riportano i loro impegni e risultati. “Abbiamo bisogno di una migliore divulgazione e qualità dei dati se vogliamo che gli investitori prendano le loro decisioni di investimento basandosi su numeri precisi e non su stime. Purtroppo, nessuna singola metrica delle emissioni di carbonio è perfetta e per valutare il posizionamento climatico di un’azienda occorre molto di più che guardare alla sua impronta di carbonio”.
Parlando della strategia climatica di Candriam, Sophie Deleuze, Lead ESG Analyst – Engagement & Voting, sottolinea la centralità dell’engagement. “Il nostro impegno si concentra sull’ottenimento di una migliore divulgazione sul clima da parte delle aziende e sul miglioramento delle prestazioni climatiche. Si tratta di un aspetto fondamentale per migliorare il modo in cui integriamo il clima nei nostri investimenti e per generare risultati climatici reali”, afferma Deleuze.
L’obiettivo principale dell’attività di engagement della società di gestione è spingere gli emittenti ad assumere impegni rilevanti per il clima e ad adottare pratiche e strategie coerenti e allineate con gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi.
Quali strumenti la società ha a disposizione per raggiungere questi obiettivi? “Ovviamente il primo è il dialogo individuale o collaborativo con gli emittenti, sostenuto anche da iniziative e dichiarazioni del settore, e infine il voto in assemblea come azionisti. Votare non significa solo esprimere il nostro punto di vista sui piani climatici attraverso le risoluzioni “Say on Climate”, ma anche votare sui consigli di amministrazione, sulle remunerazioni e su altre questioni di governance. Ciò che è veramente cambiato negli ultimi due anni è che il clima è diventato un argomento rilevante e talvolta fondamentale da discutere durante le assemblee generali. Questo dà a noi azionisti un margine di manovra e un potere molto più ampio nell’influenzare le strategie climatiche delle aziende”spiega Deleuze.
Secondo i dati di Climate Action 100+, sempre più aziende si impegnano a raggiungere l’obiettivo net zero entro il 2050 e a fissare obiettivi intermedi. Tuttavia, sono poche le aziende che si spingono fino ad allineare i piani Capex con una traiettoria allineata a Parigi e, talvolta, persino con i propri impegni climatici.
“Se vogliamo davvero ottenere risultati più efficaci e d’impatto, l’attività di engagement dovrà essere più attiva, sistematica e visibile, oltre che più tecnica ed esigente nelle competenze richieste. La tendenza deve vedere una maggiore collaborazione tra gruppi di investitori con obiettivi allineati; voti più informati, anche attraverso i proxy advisor; una collaborazione sempre maggiore con i governi e le autorità di regolamentazione; e infine, il coinvolgimento di tutti gli stakeholder”, conclude l’esperta di Candriam.