Interviste

Kurdyavko (BlueBay): Il conflitto rafforza l’importanza dell’analisi ESG sui mercati emergenti

In un mondo dove i tassi sono vicini allo zero e l’inflazione sfiora la doppia cifra, i mercati emergenti, grazie ai rendimenti elevati nel segmento high yeld, possono offrire un’interessante prospettiva per gli investimenti. Ma il conflitto Russia-Ucraina, oltre ai drammatici aspetti umanitari, ha ridisegnato lo scenario dei rapporti internazionali. Ponendo seri dubbi riguardo la globalizzazione e sconvolgendo le catene di approvvigionamento. In primis quelle legate al gas e all’oil, ma anche per le altre materie prime e i prodotti agricoli. A cominciare dal grano, la cui produzione mondiale viene per il 25% dalla Russia.

In questo scenario Polina Kurdyavko, Head of Emerging Markets, BlueBay, è convinta che questa crisi geopolitica non porti a cambiare l’approccio all’ESG, ma anzi ne evidenzi l’importanza. “I fattori ESG rimangono al centro dell’analisi fondamentale per i Paesi emergenti e il conflitto ha sottolineato l’importanza dell’analisi ESG. A nostro avviso” sottolinea Kurdyavko, “l’approccio migliore per valutare i rischi ESG nei Paesi emergenti è un serio engagement con le nazioni emergenti attraverso il dialogo con policymaker e con i manager delle società locali. I rating esterni vanno bene per la costruzione di indici o per una valutazione aggregata di un portafoglio, ma è solo il diretto confronto con le controparti che permette di capire i rischi e le tendenze sotto il profilo dell’analisi ambientale, sociale e di governance e che quindi ci consente di decidere se investire o meno in una specifica azienda”.

La responsabile degli investimenti sui mercati emergenti di BlueBay sottolinea come proprio grazie a questo metodo, nonostante non ci fossero evidenti segnali di allarme, la casa abbia assunto un approccio estremamente prudente verso gli investimenti in Russia ben prima degli eventi sotto gli occhi di tutti. “Questo è il valore dell’integrazione dell’analisi ESG in quella fondamentale e questo continuerà a essere la guida per i nostri investimenti”, afferma la Kurdyavko in questa intervista a ESGnews.

Da fine febbraio, inizio dell’invasione russa in Ucraina, i mercati sono stati in fibrillazione. Ulteriore rincaro dei costi energetici, volatilità, impatto sulle esportazioni di diverse materie prime e disruption legate agli effetti delle sanzioni preoccupano molto gli investitori in Europa, ma anche le altre aree non sono state risparmiate. Qual è l’impatto del conflitto sui mercati emergenti?

Il conflitto ha chiaramente impattato sui mercati emergenti. Ciò è particolarmente evidente se si guarda ai rendimenti a livello di indice nei mercati obbligazionari emergenti.

Questo sell-off non riguarda solo l’Ucraina, la Russia e l’Europa orientale, ma anche altre aree. Per esempio, abbiamo notato che i bond a lunga scadenza in Pakistan e in Africa Sub-Sahariana sono in calo di 20-30 pb, quindi vediamo chiaramente una tendenza all’avversione al rischio sui mercati.

In parte ciò è dovuto all’impennata del prezzo del petrolio, che si aggirava intorno ai 130 dollari al barile nelle scorse settimane. In parte ciò deriva anche dalle aspettative riguardo a un’elevata inflazione, che potrebbero implicare un ulteriore inasprimento delle condizioni monetarie, con effetti sulla crescita e quindi sul sentiment. Anche la narrativa ‘da falco’ della Fed ha contribuito.

Da sottolineare tuttavia che l’impatto del conflitto in Ucraina non è limitato solo ai mercati emergenti, ma anche a quelli sviluppati.

Detto ciò, con gli asset russi usciti dagli indici di JP Morgan dal 31 marzo 2022, sembra che le dinamiche idiosincratiche saranno probabilmente limitate guardando avanti.

Quali sono i Paesi e i settori maggiormente colpiti dagli effetti del conflitto? 

In base alla durata del conflitto, ci aspettiamo che gli investitori inizieranno gradualmente a guardare ai potenziali shock sul lato dell’offerta, alla ricerca delle aree più interessanti. Da questo punto di vista è possibile che alcune aziende del settore oil & gas in America Latina, Africa Subsahariana e Asia si riveleranno attraenti per il resto del 2022.

L’impatto di altri fattori macroeconomici, come i cicli di inasprimento delle politiche monetarie in Usa ed Europa, varierà nei diversi Paesi emergenti. Se gli Usa stanno iniziando il ciclo di rialzo dei tassi, molti Paesi emergenti lo stanno facendo da tempo. Ciò si riflette anche nell’elevato differenziale sui tassi reali rispetto ai mercati sviluppati. Ciò implica che investire nei mercati locali potrebbe essere interessante per chi investe negli emergenti. Allo stesso modo, le società dei Paesi emergenti, nella maggior parte dei settori, hanno buffer adeguati, attraverso margini più alti, lunghi profili di scadenza del debito o alti prezzi delle materie prime, per sopportare la potenziale volatilità dei tassi sul mercato.

Le decisioni della Fed sono storicamente rilevanti per le sorti dei mercati emergenti, in parte indebitati in valuta forte e dunque esposti all’andamento del dollaro. Con l’escalation bellica in Ucraina, come cambia la traiettoria della politica monetaria della Fed? E quali sono gli effetti attesi sui mercati emergenti? 

La crisi tra Russia e Ucraina e l’imposizione di sanzioni probabilmente manterrà i prezzi delle materie prime elevati e avrà un impatto sulle catene di approvvigionamento, sull’inflazione e sul processo decisionale della Fed. Tuttavia, sebbene alcuni Paesi emergenti saranno impattati negativamente – gli importatori di materie prime e quelli con maggiori esigenze di finanziamento esterno – altri beneficeranno, in particolare dai prezzi più alti delle materie prime.

In effetti, una grande percentuale degli indici sui Paesi emergenti è composta da esportatori di materie prime – Consiglio di cooperazione del Golfo, America Latina, Asia centrale e persino parti dell’Africa, compreso il Sudafrica, insieme a Indonesia e Malesia in Asia. I Paesi che importano energia e cibo saranno ovviamente più vulnerabili, ma ci aspettiamo che i Paesi più ricchi aumenteranno l’assistenza allo sviluppo, sia bilaterale che multilaterale, per aiutarli a navigare in una crisi che non è di loro creazione. Si parla già di nuovi strumenti di finanziamento rapido da parte del FMI e di estendere il meccanismo di riassegnazione dei DSP a una lista più ampia di Paesi.

In alcuni casi, l’attenzione ai temi ESG è partita in ritardo nei Paesi emergenti ma ultimamente era indirizzata sulla giusta traiettoria, soprattutto per quanto riguarda l’impegno ambientale. Il conflitto rischia di far deragliare questa traiettoria, soprattutto in virtù di un maggiore ricorso a fonti energetiche alternative al gas che potrebbero produrre un ripensamento sul carbone? 

La storia ci ha dimostrato che la guerra accelera l’evoluzione tecnologica. Mentre i governi globali ripensano alla loro dipendenza dalle forniture russe di petrolio e gas, probabilmente vedremo la storia ripetersi, questa volta con una spinta in avanti nel settore delle energie rinnovabili.

Ci saranno vincitori e sconfitti all’interno del settore. Per esempio, se le fonti di energia rinnovabile sono controverse o le aziende che le perseguono non hanno forti processi sociali e di governance in atto, potrebbero non essere l’investimento giusto. Gli investimenti sostenibili dovrebbero avere una forte gestione del rischio per tutti e tre i criteri ESG (ambientale, sociale e di governance). Tuttavia, sono gli investimenti da parte di individui, fondi e governi, che porteranno avanti questa transizione e starà ai singoli investitori tracciare la linea da non superare.

Quali sono le dinamiche in atto per quanto riguarda l’aspetto sociale dei criteri ESG nei paesi emergenti? Anche in questo caso, il conflitto può portare dei cambiamenti? 

Sebbene i fattori ESG siano diventati recentemente un punto fermo nel lavoro quotidiano della maggior parte degli asset manager, per quelli specializzati nei mercati emergenti, molte di queste considerazioni sono da tempo una componente standard del processo di investimento.

Gli emittenti dei mercati emergenti sono in genere sottoposti a un esame più attento da parte degli investitori rispetto ai loro peer dei mercati sviluppati, semplicemente come conseguenza del contesto in cui operano.  Storicamente, alcuni fattori ESG, come la governance (G) e il contesto sociale e politico (S) hanno giocato un ruolo cruciale nell’analisi dei fondamentali e del rischio dei mercati del credito, sia sovrani che corporate. In effetti, anche se questo mercato è maturato, sarebbe difficile investire con successo in questo spazio senza considerare questi particolari input quando si valuta il potenziale di ribasso e di rialzo di un dato investimento.

Di conseguenza, per chi investe nei mercati emergenti, applicare questa analisi in un quadro ESG più esplicito è stata un’estensione naturale. A differenza della “S” e della “G”, l’attenzione ai fattori ambientali è un elemento più nuovo nell’equazione, come nella maggior parte delle asset class.  Anche in questo caso, gli investitori dei mercati emergenti che hanno stabilito un forte dialogo con gli emittenti nel corso degli anni hanno esteso con successo le loro attività di engagement per includere la questione ambientale.

La recente emissione di obbligazioni versi in Cile ha richiamato l’interesse sui green bond anche nei paesi che si affacciano per la prima volta a questo tipo di strumenti. Quali sono le vostre aspettative per i mercati emergenti?

Riteniamo che l’emissione di bond legati alla sostenibilità da parte del Cile a marzo sia stata certamente un successo. Nonostante gli alti livelli di incertezza del mercato, l’emittente è riuscito a intercettare un interesse significativo, non solo da parte dagli investitori nei mercati emergenti ma anche da chi investe in quelli sviluppati. In quel momento, questi bond erano scambiati in forte rialzo sul mercato secondario, dimostrando la presenza di una forte domanda da parte degli investitori, che ha superato di parecchio la quantità di bond effettivamente emessi.

Consideriamo tale evento una pietra miliare importante per il mercato dei titoli di Stato in generale, non solo nei mercati emergenti. Ci aspettiamo che altri emittenti sovrani ne seguiranno l’esempio. La struttura dei Sustainability-Linked Bond probabilmente piacerà a una vasta gamma di emittenti sovrani che forse non hanno un numero sufficiente di progetti da finanziare utilizzando le obbligazioni Use of Proceed. Ora che l’esempio è stato dato, la porta è spalancata per altri emittenti sovrani e ci aspettiamo che questa struttura diventerà popolare tra gli emittenti sovrani come lo è in ambito corporate.