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Mid-Year Market Outlook

T. Rowe Price: 2022 l’anno della transizione verso un nuovo paradigma

Dopo un 2021 all’insegna della ripresa economica spinta da campagne vaccinali, stimoli fiscali e monetari e una ripresa dei consumi, il 2022 si è aperto con previsioni di crescita tutt’altro che favorevoli. L’invasione russa dell’Ucraina, il nuovo lockdown in Cina, l’aumento dei prezzi dell’energia e la crescita dei tassi di interesse potrebbero rendere difficile anche la seconda metà dell’anno. Per i CIO di T. Rowe Price, società di gestione indipendente con quasi 1.500 miliardi di dollari di AuM, nell’Outlook di metà anno 2022, all’orizzonte ci sono tre sfide particolarmente importanti per gli investitori nei prossimi mesi: l’inflazione, l’inflazione e l’inflazione, che sarà il principale meccanismo di trasmissione per tutti gli altri rischi che stiamo affrontando. 

La domanda chiave è se questi rischi causeranno una brusca decelerazione della crescita o spingeranno le principali economie in recessioni vere e proprie, trascinando anche gli utili aziendali. Oltre ai rischi ciclici, gli investitori devono considerare che i mercati globali potrebbero aver raggiunto un punto di flesso strutturale: la fine dell’era dell’ampia liquidità, bassa inflazione e bassi tassi d’interesse che hanno seguito la crisi finanziaria globale del 2008-2009Siamo nel bel mezzo di un cambiamento di paradigma.

La liquidità iniettata dalle banche centrali è stata fondamentale per stabilizzare le economie e i mercati durante la crisi finanziaria e la pandemia di coronavirus, ma ha contribuito a spingere le valutazioni di molti asset di rischio verso gli estremi storici.

È tutta una questione di inflazione
Arif Husain, CFA, Head of International Fixed Income and Chief Investment Officer di T. Rowe Price.ì

“È probabile che le aspettative di inflazione domineranno l’andamento dei mercati finanziari nella seconda metà dell’anno, proprio come accaduto nel primo semestre. Sebbene in alcuni mercati si siano registrati alcuni segnali aneddotici che indicano un atteso allentamento delle pressioni sui prezzi, come il rallentamento della valutazione dei prezzi delle case e il raffreddamento della domanda di lavoro, sono necessarie prove più chiare”, sostiene Arif Husain, CFA, Head of International Fixed Income and Chief Investment Officer di T. Rowe Price.

“Finché non vedremo un calo significativo dell’inflazione verso gli obiettivi fissati dalle banche centrali, l’onere della prova non sarà soddisfatto. Le pressioni inflazionistiche provengono sia dalla domanda sia dall’offerta, sia da fattori ciclici sia strutturali, il che rende le previsioni eccezionalmente nebulose. Credo che questo significhi che la Fed continuerà ad alzare i tassi”, aggiunge Husain.

“Mentre la Fed e le altre principali banche centrali si stanno spostando sempre più verso un quantitative tightening, non tutti i Paesi si trovano allo stesso punto del loro ciclo monetario. Approfittando di queste differenze, gli investitori potranno diversificare l’esposizione ai tassi d’interesse. Nel medio termine, ritengo che i rendimenti raggiungeranno livelli tali da rendere i clienti soddisfatti dei loro portafogli obbligazionari”, conclude Husain.

I fondamentali contano

“Il mercato ha già scontato una serie di futuri rialzi dei tassi della Fed, ma si aspetta ancora che l’inflazione superi l’obiettivo della banca centrale americana di un intero punto percentuale all’anno nei prossimi cinque anni”, commenta Sébastien Page, CFA, Head of Global Multi‑Asset and Chief Investment Officer di T. Rowe Price. Nonostante questo scenario non sia del tutto favorevole, esiste anche un aspetto positivo. A livello globale c’è un’offerta potenziale “repressa”, che potrebbe contribuire a ridurre l’inflazione se si riuscissero a sbloccare i colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento. “La domanda è se sistemare le catene di approvvigionamento possa far parte del lavoro della Fed. Se ciò avvenisse in tempi relativamente brevi, forse la banca centrale non si troverebbe a dover reprimere fortemente la domanda”, afferma Page

“Con l’aumento delle preoccupazioni per la crescita, l’attenzione si sta spostando sul lato “E” del rapporto prezzo/utili (P/E). Tutti si chiedono se questa sarà la prossima goccia che farà traboccare il vaso”, aggiunge Page. Sebbene nel primo semestre la dinamica degli utili sia diminuita in molti mercati non statunitensi, la crescita degli utili per azione (EPS) negli Stati Uniti è rimasta sorprendentemente stabile. “Ritengo che gli utili statunitensi probabilmente si ridurranno nel secondo semestre, a causa del rallentamento della crescita economica”, prevede Page. Anche i miglioramenti nelle catene di approvvigionamento potrebbero avere un impatto sugli utili, ma forse non in modo positivo. “Se da un lato la movimentazione di un maggior numero di prodotti potrebbe incrementare le vendite e i ricavi, dall’altro potrebbe limitare il potere di determinazione dei prezzi e intaccare i margini di profitto”, conclude Page.

Dove trovare opportunità: Cina vs US

Un cambiamento nella leadership di mercato sembra in corso. “In un mondo in cui molte banche centrali stanno frenando la liquidità per combattere l’inflazione e i governi di molti Paesi sviluppati stanno registrando profondi deficit fiscali, la Cina ha almeno la possibilità di concentrare la politica sul sostegno alla crescita”, afferma Justin Thomson, Head of International Equity and Chief Investment Officer di T. Rowe Price. Secondo Thomson, non è ancora chiaro quanto i policy maker cinesi saranno in grado di stimolare la crescita nel secondo semestre. Oltre al coronavirus, anche il crollo dei valori immobiliari e le inadempienze creditizie potrebbero mettere in discussione qualsiasi sforzo di stimolo. 

“Un altro fattore chiave per le azioni cinesi nel secondo semestre potrebbe essere il clima normativo, compreso il trattamento riservato da Pechino alle società di piattaforme tecnologiche nazionali e il giro di vite sulle quotazioni dei depositi esteri”, continua Thomson.

Ad ogni modo, Thomson afferma di essere riluttante nel prevedere un cambiamento di leadership verso le azioni non statunitensi nel secondo semestre, data la lunga sovraperformance del mercato americano nell’ultimo decennio. “Se l’apprezzamento del dollaro americano registrato nel primo semestre si attenuasse e il settore tecnologico continuasse a faticare, la performance relativa dei mercati azionari non statunitensi dovrebbe almeno migliorare”, conclude Thomson.

Da una Fed put a una Fed call

Gli shock inflitti ai mercati nella prima metà del 2022 hanno imposto agli investitori globali di adeguare le proprie aspettative su inflazione, tassi d’interesse, crescita degli utili e volatilità. Secondo i CIO di T. Rowe Price, però, potrebbe essere necessario un adeguamento a più lungo termine. Siamo nel bel mezzo di un cambiamento di paradigma. Stiamo passando da un contesto di bassi rendimenti, bassa inflazione e bassa volatilità a uno di inflazione più elevata, tassi più alti e, probabilmente, volatilità più elevata.

Le nuove condizioni potrebbero costringere molti investitori a disimparare alcuni vecchi modelli, come l’idea che si possa contare sulla Fed e/o sulle altre principali banche centrali per pompare liquidità nei mercati se i prezzi degli asset scendono troppo o troppo velocemente, un concetto noto come “Fed put“. Ora la Fed put è sparita o è profondamente fuori mercato. Semmai, gli investitori si trovano di fronte alla possibilità di una “Fed call“. Se gli asset rischiosi dovessero registrare un rally troppo esuberante nella seconda metà dell’anno, la Fed, che è attenta all’inflazione, potrebbe rispondere aumentando i tassi d’interesse in modo più aggressivo, bloccando così qualsiasi rimbalzo. 

Il nuovo paradigma richiederà agli investitori di prestare molta attenzione all’orizzonte temporale e alla tolleranza al rischio. Solo durante i cambiamenti di paradigma è possibile comprendere veramente la propria tolleranza al rischio. Soprattutto, gli investitori devono comprendere i rischi di rimanere passivi in un contesto di mercato in rapida evoluzione. Gli indici ponderati per la capitalizzazione possono essere mal posizionati per affrontare cambiamenti strutturali, rendendo la gestione attiva uno strumento fondamentale per identificare rischi e opportunità. Nel bel mezzo di un cambiamento di paradigma, non fare nulla può essere molto pericoloso.