Paolo Dellachà De Nora | ESG News

Intervista

De Nora punta a giocare un ruolo di primo piano nei processi di transizione industriali

Con il debutto a Piazza Affari di fine giugno De Nora ha messo il piede sull’acceleratore sul fronte della sostenibilità. A partire dalla ricerca di soluzioni tecnologiche che permettano un risparmio energetico alla depurazione dell’acqua, il gruppo dell’elettrochimica si sta infatti lanciando nel settore dell’idrogeno verde che vede come una soluzione per la decarbonizzazione delle aziende “hard to abate” italiane e della mobilità più inquinante, marittima e aerea. Ma non solo. La vocazione sostenibile parte da lontano: come ha raccontato a ESGnews Paolo Dellachà, CEO di De Nora, in un’intervista a margine della Italian Sustainability Week di Borsa Italiana, il business di riferimento – che si sviluppa intorno all’elettrochimica – ha imposto l’adozione di scelte virtuose fin dall’inizio. E oggi l’attività del gruppo è strettamente connessa con i processi di transizione sostenibile delle attività produttive. 

Recentemente avete debuttato a Piazza Affari. Cosa ha comportato questo passaggio sul fronte della sostenibilità?

La quotazione sul listino ha comportato un’accelerazione del percorso di sostenibilità di De Nora, ma la sostenibilità è un valore che fa parte del Dna del gruppo. Le tecnologie di De Nora si sono infatti sviluppate intorno alla scienza dell’elettrochimica, ramo della chimica che ha molteplici applicazioni industriali, ma che si basa su un processo estremamente energivoro. Per questo l’azienda, che opera da quasi 100 anni, ha da sempre cercato di trovare i sistemi più efficienti per permettere ai clienti di ridurre i consumi elettrici.

Con l’arrivo in Borsa ci siamo focalizzati maggiormente sui nostri obiettivi interni, in termini ambientali, sociali e di governance, che si sono aggiunti alla capacità dei nostri prodotti di migliorare le prestazioni dei nostri clienti. Come società quotata dobbiamo poi rispondere a specifiche richieste regolamentari. Nel 2023 pubblicheremo la nostra Dichiarazione Non Finanziaria sui dati 2022, totalmente compliant rispetto agli standard GRI, mentre per il 2021 avevamo già fatto un primo passo predisponendo una Sustainability overview. In termini di governance, abbiamo istituito all’interno del consiglio di amministrazione un comitato che ha delega su controllo, rischi e materie ESG, che si aggiunge a quello nomine e remunerazione e al comitato parti correlate.

Quali sono i vostri principali impegni in ambito ambientale, sociale e di governance?

A marzo, in concomitanza con la pubblicazione del bilancio, presenteremo il nostro nuovo piano di sostenibilità ed espliciteremo i nostri target. Abbiamo avviato il processo di stakeholder engagement che porterà alla definizione della matrice di materialità e dei KPI che rappresenteranno i nostri impegni in ambito ESG.

La base da cui partiamo è comunque di grande attenzione sui temi ESG. A cominciare dal nostro piano di investimenti da 300 milioni di euro per il periodo 2022-2025, di cui 160 saranno dedicati alla transizione energetica. Sul fronte social, invece, attualmente il 20% del nostro personale è rappresentato da genere femminile, percentuale che rimane invariata anche per i ruoli manageriali. Nel board, inoltre, abbiamo 4 rappresentanti femminili su 12.
Per quanto riguarda invece il personale abbiamo un processo di formazione continuo e un chiaro piano di assunzioni. Nel 2021 ci sono state circa 28 ore di training a persona, di cui 12 dedicate ai temi di sicurezza e salute. I dipendenti sono arrivati a oltre 1800, rispetto ai 1725 di fine 2021.

De Nora vanta oltre 250 famiglie di brevetti. Quanto è importante la ricerca per voi e come è connessa con la sostenibilità?

Innovazione e sviluppo tecnologico hanno da sempre caratterizzato la nostra crescita, soprattutto con l’obiettivo di permettere ai nostri clienti minori consumi di energia, che significa anche minori costi, dato che l’energia arriva a pesare anche il 30/40% del prezzo finale del prodotto.

E non abbiamo lavorato solo nella direzione del risparmio energetico, ma anche in quella dell’eliminazione dell’utilizzo di sostanze nocive anche per la salute umana in determinati processi industriali. De Nora produce componenti tecnologiche volte all’eliminazione di additivi chimici o all’eliminazione di interi processi che avevano bisogno di sostanze chimiche a supporto o in parallelo alla nostra tecnologia.

Poi c’è la sfera idrica in quanto trattiamo l’acqua sia da bere sia per i processi industriali. Negli ultimi anni è esploso il problema dei cosiddetti “emerging contaminants”, nuovi contaminanti che fino a qualche anno fa non esistevano o erano presenti in quantità decisamente inferiori. Oggi nell’acqua municipale si trovano ormoni, sostanze stupefacenti o residui chimici di industrie che hanno iniziato la propria attività nel dopo guerra e che per anni non sono state controllate, riversando nelle acque sostanze inquinanti che purtroppo si sono accumulate nel tempo.

Garantire la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua rappresenta il sesto obiettivo dell’Agenda dell’Onu per il 2030. Un tema la cui importanza sta emergendo sempre più, basti pensare alle siccità di quest’anno…

Certamente e noi lavoriamo su larga scala anche con le organizzazioni municipali. Tutta l’acqua potabile di Hong Kong, per esempio, è su tecnologia De Nora e anche in parte quella di Tokyo. Il trattamento delle acque è sicuramente un processo importante, ma credo che dal punto di vista della sostenibilità oggi si debba e possa fare un passaggio ulteriore importante, legato al recupero e al riutilizzo sia delle acque trattate sia dei componenti e delle sostanze presenti in esse. Nell’industria sta infatti prendendo piede il concetto di economia circolare e di “zero liquid discharge”. Dal momento che quello della scarsità di acqua è un problema sempre più impellente, non è più sostenibile trattare l’acqua e poi riversarla nei fiumi, nei laghi o nel mare, quando invece potrebbe essere immessa di nuovo nel processo produttivo come input iniziale. Tra l’altro, tramite la depurazione, non è solo possibile eliminare le sostanze nocive dall’ambiente, ma anche selezionare quelle che invece possono essere preziose e a cui un’azienda può dare nuovo valore utilizzandole nel processo produttivo.

Un altro dei fronti di sviluppo che vi vede impegnati è quello dell’idrogeno verde. In cosa consiste il know how di De Nora su questo fronte?

Industrie De Nora produceva idrogeno elettrolitico già negli anni Cinquanta con i suoi impianti, ma con l’arrivo del metano a basso costo, che scomposto con il vapore acqueo generava il cosiddetto idrogeno grigio, questa tecnologia ha preso piede nei processi industriali soppiantando il sistema meno inquinante. Per decenni si è ricavato l’idrogeno esclusivamente dalla molecola fossile, generando un impatto ambientale devastante, dal momento che per ogni chilogrammo di idrogeno estratto dal metano se ne liberano in atmosfera dieci di CO2.

Negli ultimi anni si è parlato molto di idrogeno blu, che accoppia la produzione di idrogeno da combustibile fossile a un sistema di cattura e di stoccaggio permanente della CO2 prodotta nel processo, ma può funzionare solo nel breve termine e non è sostenibile nel lungo periodo.

L’idrogeno verde invece si ricava dall’acqua tramite un processo di elettrolisi che sfrutta le fonti rinnovabili, e quindi non ha impatto ambientale in termini di emissioni di CO2. In Italia molte industrie cosiddette “hard to abate” utilizzano idrogeno grigio, e  hanno sempre giustificato questa scelta con l’elevata disponibilità e il basso costo economico. Oggi, la crisi del gas e l’incremento del costo del gas fossile, che hanno portato l’idrogeno grigio a essere non competitivo dal punto di vista dei costi, potrebbero contribuire all’accelerazione, anche sul territorio italiano, dell’utilizzo di idrogeno verde. Il passaggio non riguarda più una scelta sostenibile solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico.

Quando potrebbe diventare una realtà l’utilizzo dell’idrogeno su larga scala?

In Italia stanno nascendo diverse Hydrogen Valley. E le industrie della ceramica, del vetro, dell’acciaio, del cemento e delle raffinerie, che hanno un importante bisogno di molecole competitive nei loro processi di trasformazione, potrebbero essere i primi driver della domanda futura.

Poi c’è tutta la sfera della mobilità. Prima dell’automobile ci sono grandi comparti, come il trasporto ferroviario alimentato per il 30% a gasolio, quello marittimo con le navi cargo o da crociera che bruciano molto gasolio e inquinano altrettanto o quello dell’aviazione civile, che hanno l’opportunità di convertire l’utilizzo di carburanti fossili a carburanti a zero impatto tramite l’uso dell’idrogeno verde.

Come per tutte le cose, questa trasformazione necessita ancora di tempo. Noi stiamo già lavorando su alcuni progetti concreti e importanti fuori dall’Italia, tra cui quello saudita di Neom. Stiamo già consegnando questa tecnologia che entrerà in funzione dall’anno prossimo in alcune parti del mondo, Stati Uniti, Brasile, Europa, Medio Oriente e Giappone. È ovvio poi che l’introduzione su larga scala è figlia di tante componenti anche sociopolitiche, che stanno cambiando molto. Al momento la guerra in Ucraina e l’aumento del prezzo dei carburanti fossili rappresentano un acceleratore fenomenale per l’introduzione dell’idrogeno verde sul mercato.

Il trasporto può costituire un freno all’adozione dell’idrogeno verde?

Per risolvere il tema del trasporto, oltre alla soluzione di produrre il più vicino possibile all’utilizzatore finale, si può ulteriormente trasformare la molecola, per esempio in ammoniaca verde. Quest’ultima è un vettore che può essere trasportato tramite navi che non richiedono caratteristiche tecniche particolari, come quelle che invece trasportano idrogeno e gas, e quindi hanno costi molto inferiori. Una volta a destinazione, l’ammoniaca verde può essere riconvertita in idrogeno (funge quindi proprio da vettore temporaneo) oppure può diventare la materia prima per ulteriori processi industriali. Uno dei principali campi di applicazione è quello dei fertilizzanti. Inoltre, l’ammoniaca stessa potrà diventare un carburante perché, contenendo idrogeno in grandi quantità, può bruciare e sostituire il diesel nelle navi o di altri mezzi di trasporto. Inoltre anche il 90% della rete di tubature della Snam (azionista di De Nora, ndr) può essere utilizzata per il trasporto dell’idrogeno come arricchitore, quindi legato ad altre sostanze quali il gas naturale.

Dal punto di vista delle economie globali, tutti gli Stati potranno produrre in egual misura l’idrogeno verde? Potrà rimescolare un po’ le carte rispetto agli equilibri attuali di dipendenza delle economie dagli Stati dotati di riserve di idrocarburi?

In teoria possono produrlo tutti, ma per essere definito verde c’è bisogno che alle spalle vi sia una fonte rinnovabile. Quindi i territori vastissimi e altamente irraggiati dal sole come il Medio Oriente e il Nord Africa, o gli Stati Uniti potrebbero essere avvantaggiati. Invece in Europa del Nord c’è meno sole, ma più vento. Quindi ci sono differenze tra gli Stati in termini di morfologia geografica che potrebbero portare ad avere più intensità di generazione di idrogeno verde.

Sta proseguendo e in cosa consiste il progetto della Gigafactory con Snam?

La Gigafactory fa parte dei progetti che sono stati selezionati tra quelli di rilevanza IPCEI (Importanti Progetti di Interesse Comune Europeo) per i quali la Commissione Europea dedicherà dei fondi per oltre cinque miliardi. Sei società italiane sono state selezionate e tra le iniziative vi è questa di De Nora con Snam. È una joint venture (90% De Nora e 10% Snam) che si occuperà della costruzione, gestione e sviluppo di una Gigafactory con capacità fino a due GWh. Nel prossimo futuro sarà definita la localizzazione della Gigafactory e attendiamo dal governo l’indicazione esatta dell’ammontare di finanziamento che ci sarà riconosciuto.

Ultima domanda, cosa vi hanno chiesto gli investitori sui temi ESG?

Sui temi ESG gli investitori sono molto focalizzati sulla governance, quindi gli aspetti di composizione del board, le pratiche di remunerazione e la gender diversity. C’è interesse sul report di sostenibilità e sull’allineamento alle tassonomie. In De Nora viene riconosciuto l’aspetto intrinseco di sostenibilità dell’attività e quindi c’è un focus più sugli elementi che permettono di comprendere come è gestita la società e se è in linea con i requirement che molti fondi internazionali si pongono.