Antonio Amendola AcomeA | ESG News

Intervista

Amendola (AcomeA SGR): “L’ESG è un’opportunità per le PMI”

Dal punto di vista del potenziale, le PMI italiane non hanno nulla da invidiare ai competitor internazionali in termini di sostenibilità, ma permangono ancora degli ostacoli, spesso dovuti a fattori dimensionali, che impediscono una piena adesione ai modelli ESG, in particolare sulla governance. Ma secondo Antonio Amendola, gestore del fondo AcomeA PMItalia ESG di AcomeA SGR, oggi anche le aziende più piccole sono molto ricettive ai temi della sostenibilità, e molta altra strada si può fare, soprattutto con il supporto di investitori lungimiranti che sappiano guidare le società nel percorso. Una scelta che premia, anche in termini di rendimento. Amendola ha spiegato, in questa intervista a ESGnews, media partner di Borsa Italiana per la Sustainabilty Week, qual è il contributo che un investitore istituzionale può apportare per migliorare il profilo di sostenibilità di una PMI.

Dalla sua prospettiva qual è lo stato dell’arte delle PMI italiane sul fronte dell’integrazione dei fattori ESG?

Dal punto di vista del potenziale, le PMI italiane non hanno nulla da invidiare ai competitor internazionali in fatto di sostenibilità. Il problema è che in molti casi non hanno consapevolezza di questo potenziale o non lo sanno esprimere. Quindi c’è sicuramente molto lavoro da fare per integrare i temi ambientali, sociali e di governance nelle procedure e nella reportistica delle aziende. A questo riguardo un elemento di grande importanza è rappresentato dai dati, dalla capacità di definirli, misurarli e riportarli. Perché finché le aziende non comunicano informazioni puntuali riguardanti la sostenibilità, la comunità finanziaria e tutti gli stakeholder non sono in grado di apprezzarne le caratteristiche ESG e il percorso.
In generale, dei tre pilastri ESG il più debole è la governance. Per le piccole e medie imprese italiane si tratta di una lacuna in molti casi di tipo strutturale, viste le dimensioni e le risorse. In questo senso, per le società che approdano sul listino, gli investitori istituzionali possono rappresentare un valido supporto e svolgere un importante ruolo di affiancamento nel percorso verso un modello di governance più sostenibile. Bisogna comunque riconoscere che rispetto a pochi anni fa anche le imprese di minori dimensioni, che quindi poggiano su una struttura più snella, sono molto più ricettive del passato verso i temi della sostenibilità e strutturate all’interno per gestire anche le variabili ambientali e sociali. In particolare, tra quelle che decidono di compiere il passo della quotazione, molte lo fanno avendo già dei presidi ESG oppure presentando già dei bilanci certificati dal punto di vista della sostenibilità. Alcune hanno addirittura già previsto o attuato la trasformazione in Benefit Corporation.

Ha accennato a carenze nella governance, quali sono i punti che potrebbero essere migliorati?

Le PMI sono spesso aziende che dispongono di budget limitati e di poco personale, quindi non ci si può aspettare che abbiano già completamente integrato le variabili ESG come le organizzazioni più strutturate, che possono inserire un presidio per questo tipo di variabili e attività. Inoltre pensiamo al fatto che molte PMI italiane sono aziende familiari e manca la presenza di management: spesso il fondatore ricopre il ruolo di amministratore delegato e anche di presidente.
Tra le misure che potrebbero migliorare gli aspetti di governance ci sono per esempio l’allineamento della remunerazione del board anche a obiettivi di sostenibilità e non solo legati al fatturato, la presenza di più presidi e quindi, per esempio, di un comitato che si occupi di sostenibilità. I limiti nel governo delle variabili ESG nelle realtà più piccole sono spesso legati proprio alla mancanza del personale.

Bisognerebbe quindi trovare formule adatte per questo tipo di imprese?

Si, anche per non correre il rischio che vengano ingessate o debbano dotarsi di strutture sovradimensionate. La loro forza è che sono versatili e agili ed è importante restino tali.

Lo scorso anno avete fatto un’analisi dalla quale è emerso che solo il 50% delle PMI quotate effettua una rendicontazione ESG, anche se in molti casi solo qualitativa. Vede un miglioramento su questo fronte?

Sicuramente c’è un miglioramento, anche favorito dalla spinta da parte del regolatore e degli investitori istituzionali, che produce effetti rilevanti. Oggi i manager sono mediamente ben disposti e aperti a suggerimenti e proposte in ambito ESG. Mostrano interesse al riguardo e spesso richiedono supporto per capire cosa fare e come.
Considerando anche gli standard europei in arrivo entro il 2023, è chiaro che la direzione in cui si sta andando è quella di rendere obbligatoria la rendicontazione di sostenibilità. Dunque comunicare i dati ESG diverrà la prassi per un numero sempre maggiore di imprese. Da questo punto di vista per le aziende è meglio avviare il percorso in modo graduale il prima possibile per non ritrovarsi in seguito costretti a fare una corsa che, sotto la pressione dell’urgenza, costerà molto di più in termini finanziari e di complessità. Ma di questo i manager sono ormai ben consci.

Dal mio punto di vista comunque c’è anche un altro aspetto che spesso è sottovalutato: quando si parla di integrazione dei fattori ESG per le aziende spesso lo si interpreta come qualcosa che va fatto perché il regolatore o l’istituzionale lo richiede. In realtà per l’azienda non va visto come un costo, bensì come un’opportunità. Per esempio di potere accrescere l’attività e di attirare nuovi investitori. Pensiamo per esempio a tutte le numerose PMI italiane fornitrici delle grandi multinazionali internazionali che oramai hanno requisiti sempre più stringenti sulla sostenibilità: non adeguarsi agli standard ESG significa perdere clienti, mentre adeguarsi e comunicarlo bene, tramite la rendicontazione ESG, significa garantirsi un mercato.

Inoltre, è anche una questione strategica: lo stiamo vedendo adesso con la crisi energetica del gas. Un’azienda che ha fatto investimenti per migliorare l’autosufficienza degli impianti ora è meno dipendente dalla bolletta dell’elettricità e può disporre di energia e minor costo. Quindi il tema non è “lo devo fare perché me lo chiedono”, ma “lo devo fare perché ci guadagno”.

Quali elementi prendete in considerazione nel valutare il grado di sostenibilità di un’azienda?

Il nostro approccio è cercare di valutare il potenziale di miglioramento che il percorso verso un modello sostenibile rappresenta per un’azienda. L’analisi viene fatta per le aziende che abbiamo in portafoglio e sulle quali abbiamo reputato interessante investire sulla base dell’analisi fondamentale. Quindi, il punto di partenza è sempre il rendimento atteso, perché il nostro obiettivo è creare valore aggiunto per l’investitore. L’ESG è un mattoncino in più, come può essere il dividendo, la crescita del fatturato, l’M&A. Ciascuna azienda è valutata sia al nostro interno sia con l’ausilio di società di consulenza esterne. Dal punto di vista della sostenibilità capita spesso che debbano essere messi in risalto elementi che sono già integrati a livello industriale, ma dei quali non era evidenziato il contributo a livello finanziario. Per noi il percorso di miglioramento del profilo ESG deve partire dalla definizione di obiettivi e prevedere la scelta di KPI strategici dal punto di vista ambientale, sociale e di governance da integrare nella rendicontazione.

Potrebbe fare un esempio di un’azienda che è migliorata dal punto di vista ESG?

Tra le società quotate sul listino milanese penso per esempio a Doxee, società informatica specializzata nel miglioramento delle relazioni con la clientela, che ha redatto l’anno scorso il primo bilancio di sostenibilità e ha adottato all’interno della sua governance un comitato ESG, nominando una persona ad hoc per gestire tutte le tematiche ESG. Inoltre ha iniziato a integrare nel piano industriale e nella strategia aziendale obiettivi di sostenibilità.

Oppure a Tesmec, società del settore delle infrastrutture energetiche, che ha iniziato a fare investimenti sugli impianti di natura green per migliorare l’efficientamento energetico.

Quali strategie adottate per supportare le PMI italiane nell’implementazione o nel miglioramento dei criteri ESG all’interno del proprio modello di business?

Sicuramente il dialogo continuo, l’impegnarsi a far comprendere al management quanto sia importante dal lato investitore questa tematica e quanto possa attrarre nuovi investimenti e poi creando degli eventi in cui queste società possano mostrare il loro percorso e avere una certa visibilità. Oltre al dialogo poi, come investitori e azionisti, supportiamo quegli investimenti che vanno nella direzione ESG.

Ritiene che nel contesto attuale, l’integrazione di considerazioni ESG, in particolare quelle ambientali legate all’efficientamento energetico, abbiano fornito un vantaggio competitivo alle aziende? In che misura?

Si, chi ha investito in questa tipologia di interventi ne sta già raccogliendo i frutti. Oggi, con la crisi energetica e l’aumento del prezzo del gas, il vantaggio economico di cui gode chi, con lungimiranza, ha, per esempio, optato per una fornitura di energia da fonti rinnovabili ne è un esempio pratico. Per questo tali investimenti non sono un costo, anzi permettono di avere un vantaggio strategico e geopolitico che si traduce in performance migliori del titolo e quindi maggiore remunerazione per gli azionisti.