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Supply chain, anche Dior accusata di caporalato

Dopo Armani e Alviero Martini, anche la maison del lusso Dior è sotto i riflettori e accusata di caporalato. Il Tribunale di Milano ha infatti disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti di Manufactures Dior, ramo operativo di Christian Dior Italia che risponde alla casa madre francese del gruppo Lvmh, ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo lungo la catena di fornitura del ciclo produttivo.

L’indagine per presunto caporalato è stata coordinata dal pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone e condotta dai carabinieri di Milano. È simile ad altre già istruite nelle quali si contesta la mancata applicazione di “misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative, ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici”.

L’indagine è iniziata lo scorso marzo e ha riguardato quattro opifici tra Milano e la Brianza dove sono stati trovati lavoratori senza contratto, sottopagati, che lavoravano anche per oltre 15 ore al giorno in condizioni insalubri e venivano ospitati in un capannone, senza letti, con condizioni sanitarie al minimo etico. Manufactures Dior aveva appaltato la produzione della collezione di borse e accessori in pelle 2024 alle due società Pelletteria Elisabetta Yang e Davide Albertario Milano, ma il provvedimento ha coinvolto anche New Leather Italy e una quarta società in subappalto che, di fatto, serviva solo per abbattere oneri contributivi, retributivi e fiscali, riducendo i costi.

Tra i pezzi prodotti nei laboratori anche il modello PO312YKY della borsa Christian Dior venduto in boutique a 2.600 euro, ma il cui costo per la società è corrisposto essere pari a circa 53 euro.

Secondo quanto di legge sul Sole 24 Ore, sono state comminate ammende pari a 138mila euro e sanzioni amministrative pari a 68.500 euro e per le quattro aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.

Non si possono più, quindi, scegliere i fornitori con gli occhi bendati. Come stabilito anche nella direttiva CSDDD, entrata in vigore a maggio sulla due diligence, le aziende sono responsabili degli impatti negativi delle loro attività sui diritti umani e sull’ambiente lungo tutta la supply chain e devono garantire il rispetto delle norme.