Potrà il Green Deal sopravvivere alle nuove sensibilità politiche mostrate dai cittadini europei? Il voto europeo ha segnato una netta vittoria per i partiti delle destre del vecchio continente. Una svolta che si inserisce in uno scenario di un mondo dilaniato da drammatici avvenimenti, dalla guerra in Ucraina a quella in Israele, ma che vede un peso notevole, almeno alla lettura degli analisti politici, anche dalla svolta verde dell’Europa che, proprio grazie agli impegni del Green Deal, si propone di diventare il primo continente green in Europa. Non a caso tra i perdenti di questa tornata elettorale ci sono i partiti Green che a Bruxelles passano da 71 a 52 seggi.
La svolta green dell’Europa è una scelta politica che, pur trovando fondamento negli effetti sempre più evidenti del climate change, sino ad oggi ha proceduto a ritmo battente a suon di nuove direttive che hanno spaventato e suscitato una reazione da parte di parecchie categorie. Pensiamo alla protesta degli agricoltori sul fronte delle nuove normative per quanto riguarda le coltivazioni e l’uso dei pesticidi. Istanze che hanno raccolto l’ascolto dei partiti di destra, che si sono fatti paladini delle richieste del mondo agricolo non soddisfatto. Secondo un’analisi del Financial Times questa è stata una delle ragioni del successo del Rassemblement National di Marine Le Pen che ha appoggiato le richieste della campagna. “Hanno vietato l’uso di alcune sostanze chimiche per proteggere le barbabietole da zucchero dai parassiti. E poi lasciano importare lo zucchero dai Paesi dove questi pesticidi sono ancora permessi. Questo significa distruggere la nostra industria” commenta un coltivatore francese citato dal FT.
Troppe regole e a un ritmo troppo veloce. É il caso per esempio della Germania dove la nuova norma che impone la sostituzione delle caldaie con le pompe di calore, un investimento da diverse migliaia di euro che non tutti si possono permettere, ha alienato il sostegno all’attuale governo e soprattutto ai verdi di una parte degli elettori.
Ma anche le norme per combattere il cambiamento climatico e ridurre le emissioni hanno fatto alzare barriere. È il caso della direttiva sulle case green la l’Energy Performance of Buildings Directive (Epbd) che impone il raggiungimento della neutralità carbonica di tutto il patrimonio immobiliare UE entro il 2050 (gli edifici nuovi dovranno essere a zero emissioni dal 2030) o quella sulla scelta delle auto elettriche, la cui vendita in Europa non decolla, che sta portando a un cambiamento nelle catene produttive favorendo la produzione made in China, leader delle batterie e con il produttore Byd che da inizio anno sta conquistando l’attenzione (e il mercato globale) con le piccole auto plug in a basso costo.
Ma anche le rinnovabili sono terreno di battaglia. Abbiamo visto in Italia come Confagricoltura ha sollevato gli scudi contro l’utilizzo dei terreni agricoli per mettere nuovi pannelli solari e anche in Europa le energie pulite si scontrano contro altre esigenze, soprattutto dopo la crisi energetica derivante dalla guerra in Ucraina e dal taglio dei ponti con il gas russo. Secondo un sondaggio condotto da YouGov e Datapraxis nel gennaio 2024, il 41% degli europei posto davanti al dilemma della scelta tra diminuire il costo della bolletta elettrica e ridurre le emissioni avrebbe senza dubbio scelto la prima opzione, cioè spendere meno.
Italia e Green Deal
In un’Europa in cui il consenso delle scelte istituzionali da parte dei cittadini è messo in discussione, per la Meloni sembra essere chiaro che qualcosa non ha funzionato. La presidente del Consiglio ha definito quelle degli ultimi anni delle “ecofollie”. A partire dall’auto elettrica, dove l’imposizione di vietare la produzione di auto diesel e benzina dal 2035 costituisce per Meloni una “follia ideologica”, sostenendo che l’elettrico possa essere parte della soluzione per la decarbonizzazione ma non l’unica, fino alle case green su cui Fratelli d’Italia si è battuta per la revisione del testo originale.
“Una delle priorità dell’Europa di domani sarà riportare razionalità e pragmatismo nella transizione ecologica ed energetica”, ha dichiarato Meloni in un’intervista a Open pre elezioni, “rimettendo mano alle norme più ideologiche del Green Deal, assicurando la neutralità tecnologica e diminuendo le dipendenze strategiche”.
La leader di Fratelli d’Italia, che si dice in sintonia con la vincente francese Le Pen su numerosi temi quali “il contrasto all’immigrazione irregolare, la difesa della nostra identità culturale e un’idea pragmatica e non ideologica della transizione ecologica”, è convinta che l’UE sia “nemica delle specificità nazionali”.
Quello che quindi ci si può attendere, secondo molti osservatori, non è la messa in soffitta del Green Deal, ma un ammorbidimento di alcuni aspetti più controversi e un rallentamento della produzione giuridica, per dare il tempo alle aziende e ai cittadini europei di assimilare le numerose novità. L’importante è che non si perdano di vista gli obiettivi di sostenibilità, anche perché il cambiamento climatico non rallenta.