Ethereum, la seconda criptovaluta più importante in termini di capitalizzazione dopo il Bitcoin, ha ridefinito il suo protocollo tecnico, consentendo un notevole abbattimento delle emissioni derivanti dal processo di validazione delle transazioni.
La modifica, definita “the merge” (la fusione), prevede il passaggio da una validazione mediante “proof of work” o pow – che prevede la partecipazione attiva dei miner – a quella tramite “proof of stake”, o pos, che invece è un sistema passivo. Il risparmio energetico stimato da Ethereum è colossale, cioè il 99,95% in meno rispetto al sistema pow, quello ancora utilizzato da Bitcoin (secondo alcuni studi, il mining del bitcoin – il processo, cioè, di creazione della criptovaluta o di verifica delle transazioni – produrrebbe un consumo energetico pari a quello dell’intera Norvegia).
Nel pow, le transazioni vengono validate con un sistema complesso che coinvolge alcuni dei nodi della rete in sofisticate operazioni matematiche di mining. Nel pos invece il mining è sostituito da alcuni validator che versano una cauzione in criptovalute all’interno della blockchain. Un processo molto più semplice che non impegna una grande potenza informatica, a differenza di quanto avviene nel pow.
La svolta sostenibile era nei piani dei fondatori fin dalla nascita di Ethereum, nel 2013. Ma il passaggio al nuovo modello ha richiesto anni di lavoro per garantire la sicurezza delle transazioni.