Negli ultimi giorni, il clima sul fronte geopolitico si è surriscaldato dopo l’inizio dei bombardamenti di Stati Uniti e UK sullo Yemen e dopo l’esito delle elezioni a Taiwan.
Indice
Cosa sta accadendo in Medio Oriente e Taiwan?
I bombardamenti USA e UK sulle postazioni degli Houthi nello Yemen fanno seguito ad una serie di attacchi alle navi in transito nel Mar Rosso, che hanno costretto oltre l’80% delle navi di grossa dimensione a circumnavigare l’Africa, con un conseguente aumento dei tempi di percorrenza e, soprattutto, dei costi dei noli.
Il presidente Biden ha tenuto a sottolineare che, in concomitanza con i bombardamenti, è stato inviato un messaggio all’Iran, una sorta di segnalazione del fatto che gli intenti Usa non siano quelli di scontro, soprattutto in un anno delicato come il 2024, in vista delle elezioni presidenziali del prossimo novembre.
Facendo un rapido excursus, gli Houthi sono miliziani di religione sciita (la quota minoritaria della comunità islamica, in prevalenza sunnita con la rilevante eccezione dell’Iran, che invece è sciita), ostili ad Israele ed alla presenza USA nell’area.
Nel 2014 gli Houthi conquistarono la capitale dello Yemen e ne scaturì una lunga e cruenta guerra civile che contrappose il governo in carica ad una coalizione militare capeggiata dall’Arabia Saudita (con la partecipazione, tra gli altri, degli Emirati Arabi Uniti). La coalizione fu fortemente caldeggiata da Mohammed bin Salman, che nel 2015 era Ministro della Difesa arabo e che approfittò del supporto alla coalizione per scalare la gerarchia della casa reale, arrivando fino alla nomina a erede al trono.
Dopo circa 7 anni di guerra e quasi mezzo milione di caduti, nel 2022 si arrivò ad un “cessate il fuoco” e nel settembre 2023, grazie alla mediazione cinese, ci fu lo storico incontro di esponenti Houthi con esponenti arabi nella capitale saudita che, per quanto le parti espressero soddisfazione a margine dell’incontro, non si concluse con una vera e propria pace.Di fatto, alla fine, gli Houthi sono rimasti nella zona dello Yemen, che si affaccia sul Mar Rosso e in particolare sullo strategico golfo di Bab el-Mandeb, come si può vedere dalla cartina. Gli Houthi sono di fatto appoggiati anche finanziariamente dall’Iran, che in questo modo, pur non affacciandosi direttamente sul Mar Rosso, può esercitare un’influenza indiretta su questa area del Medio Oriente.
Passando ora a Taiwan, le elezioni si sono concluse con la vittoria del candidato indipendentista, inviso alla Cina e senza la maggioranza in Parlamento. I taiwanesi di fatto hanno optato per il voto disgiunto tra candidato presidenziale e candidati al Parlamento.
La Cina ha subito rimarcato che le elezioni “non impediranno l’inevitabile tendenza alla riunificazione della Cina”, mentre il presidente Biden ha dichiarato “Gli Stati Uniti non sostengono l’indipendenza di Taiwan”. Un’affermazione che può sembrare contraddittoria, ma che di fatto ribadisce le intenzioni USA, ossia di un Taiwan non formalmente indipendente (gli Usa non hanno mai riconosciuto lo Stato di Taiwan, riconosciuto solo da una decina di paesi nel mondo) ma neanche annesso alla Cina. In pratica una sorta di limbo.
Taiwan riveste una valenza strategica sia per la produzione di semiconduttori (con un peso complessivo di oltre il 60% su scala globale con in testa Taiwan Semiconductors), sia in ottica geopolitica, dal momento che la sua mancata annessione di fatto ostacola l’ambizione della Cina di diventare una potenza anche sul mare, dove il primato è in mano agli Usa.
Perché è così importante l’area medio Orientale?
Tenendo bene a mente la cartina di cui sopra, oltre allo stretto di Bab el-Mandeb e all’istmo di Suez, c’è il golfo persico con un altro stretto importante, quello di Hormuz.
Traducendo questi due luoghi geografici in flussi commerciali: il Mar Rosso copre circa il 12% del commercio globale (merci + materie prime) di cui il 30% del traffico globale di container merci; mentre il Golfo Persico copre circa il 20% del petrolio globale (pari a circa 21 Mln b/d che ai prezzi correnti corrispondono ad oltre 1,6 Mld$) diretto principalmente verso Cina ed India e il 25% del gas liquido globale.
Quali i possibili impatti sui mercati?
Venerdì 12 gennaio, mentre il brent provava a forare al rialzo quota 80$/b, gli operatori hanno contestualmente rafforzato l’attesa di quasi 7 tagli da parte della Fed nel 2024, attribuendo una probabilità intorno al 75% all’ipotesi di partenza a marzo.
L’evidenza più forte è rappresentata dai forti acquisti di Treasury a 2 anni, con il relativo tasso arrivato al 4,15%, al minimo da maggio 2023.
La reazione può apparire contraddittoria: se il petrolio sale aumentano i rischi di un ritorno dell’inflazione, che dovrebbe frenare le banche centrali dal tagliare i tassi.
Come allora può essere interpretata questa reazione? Gli operatori del comparto bond potrebbero aver seguito il seguente ragionamento:
- se non è in vista lo scontro diretto tra prime linee (Usa vs Iran e/o Usa vs Cina), ma il tutto è limitato alle “seconde linee” (Usa vs Houthi), allora vi possono essere delle tensioni sui prezzi delle rotte commerciali tali da aumentare il rischio di un rallentamento/recessione delle economie occidentali (Europa in primis).
- Per scongiurare questo rischio, le banche centrali, in primis la Fed, sarebbero chiamate ad un allentamento corposo e tempestivo della politica monetaria.
Lo scorso venerdì si è avuta la possibilità di leggere più in profondità il ragionamento degli operatori, di fronte ad un’escalation delle tensioni in Medio Oriente senza però il coinvolgimento diretto dei “pesi massimi”.
Un’indicazione utile anche per i prossimi mesi, nel caso di prolungamento delle tensioni sul Mar Rosso, stando sempre in guardia su quanto l’Iran rimarrà a margine del conflitto, limitandosi ad un appoggio indiretto alle milizie Houthi e ad altre sciite nell’area.
Allo stesso tempo, la Cina potrebbe orchestrare manovre militari meramente dimostrative e, in parte, anche implementare dazi e/o ostruire i canali di approvvigionamento di Taiwan via via che ci si avvicinerà alla cerimonia di insediamento del neopresidente, prevista per il prossimo 20 maggio. Le eventuali rappresaglie potrebbero riproporre temporaneamente una fase di scarsità relativa di chip, aumentandone i prezzi e, soprattutto, rallentando la filiera produttiva globale, vista l’importanza strategica dei chip.