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Intervista ESGmakers

Vaudano (CNI): per attuare la direttiva sulle case green occorre al più presto un piano di azione

Mappare il patrimonio nazionale, stabilire le priorità di intervento e valutare chi e come deve sopportare lo sforzo finanziario necessario per raggiungere gli obiettivi fissati dalle normative. È questa la linea d’azione da adottare per far fronte con successo alle richieste della direttiva europea sulle case green che stabilisce una road map per l’efficientamento energetico degli edifici europei. A sostenerlo è Remo Giulio Vaudano, Vice Presidente Vicario del Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI). Non è pensabile fare tutto e subito, spiega Vaudano a ESGnews: è necessario partire da una base dati unica, che deve ancora essere messa a punto, e occorre valutare in base a quali criteri e strumenti ripartire gli oneri di riqualificazione tra pubblico e privato, magari utilizzando strumenti più sofisticati rispetto alle sole detrazioni fiscali e con un supporto alle categorie meno abbienti. La direttiva europea EPBD (Energy Performance of Building Directive), infatti, impone una riduzione dei consumi energetici per gli immobili, ma lascia ai singoli paesi la facoltà di scegliere modalità e combinazione di strumenti per raggiungere gli obiettivi fissati. “Una facoltà che il nostro paese potrebbe utilizzare al meglio, facendo tesoro anche delle esperienze maturate con il Superbonus per l’edilizia” spiega Vaudano, che ricorda come la ricerca di una maggiore efficienza energetica in funzione di una riduzione delle emissioni vada accompagnata da imprescindibili interventi strutturali e antisismici, considerate le peculiari condizioni del territorio italiano.

Quali sono le maggiori difficoltà dal punto di vista ingegneristico per rendere un immobile sostenibile?

La sostenibilità nel campo delle abitazioni vuol dire capacità di rispondere alle esigenze della generazione di oggi senza compromettere quelle delle generazioni future. Ma per inquadrare correttamente il tema della sostenibilità, e delle performance energetiche in particolare, bisogna ricordare che è solo dalla fine degli anni ‘70 che in Italia le norme cominciano a porsi il problema del contenimento energetico. Prima di allora lo sviluppo immobiliare era stato guidato da altri criteri, come la rapidità e l’economicità delle costruzioni per rispondere alle migrazioni interne al nostro paese.

Con queste premesse, la risposta al quesito iniziale cambia a seconda che si tratti di immobili vecchi o di immobili nuovi. Per questi ultimi i problemi non si pongono, le normative esistenti fanno in modo che le nuove costruzioni abbiano delle soddisfacenti prestazioni energetiche. Il problema principale, come è facile immaginare, è costituito dal patrimonio immobiliare esistente in Italia di cui manca una base dati unica e dettagliata. Questa è necessaria e a tal proposito il CNI mette a disposizione la sua conoscenza del territorio nazionale, per fare scelte consapevoli che tengano conto di tutte le implicazioni necessarie: dagli aspetti sociali e finanziari della ristrutturazione dell’esistente alle caratteristiche del territorio italiano contrassegnato da vulnerabilità sismica e rischi idrogeologici oltre che dall’ampia presenza di patrimonio storico e artistico distribuito su tutto il territorio nazionale.

Solo per fare un esempio, basti pensare alle difficoltà per intervenire sulla coibentazione di un edificio di pregio architettonico, salvaguardando una facciata del 1600-1700. Tuttavia non si tratta di un problema di capacità di innovazione visto che esistono già soluzioni all’avanguardia nell’ambito di materiali e tecniche di costruzione e di impiantistica. La questione, neanche a dirlo, è principalmente di carattere economico.

Con la direttiva europea EPBD si apre una nuova sfida. Qual è la fotografia attuale dell’efficienza energetica del parco edilizio italiano? È possibile fare una stima di quanti sono gli immobili sui quali dovranno essere fatti interventi?

Una base dati attendibile e comune è il punto di partenza necessario prima di qualsiasi valutazione e purtroppo in Italia non è stato ancora fatto niente di sostanziale al riguardo. Tuttavia, secondo le stime di CNI, in Italia ci sono circa 18,5 milioni di unità abitative, da non confondere con il numero di immobili e condomini.

Per fare una fotografia della situazione esistente si può partire dalla consultazione dei dati ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) riferiti agli Attestati di Prestazione Energetica depositati, secondo cui circa il 70% degli immobili residenziali si colloca nelle classi meno performanti (cioè E,F,G). Se si ragiona in termini di unità abitative occupate da residenti (escludendo quindi le case vacanza o seconde case), il Centro Studi CNI stima circa 13,4 milioni di unità interessate. Si tratta però di stime insufficienti per il Consiglio Nazionale degli Ingegneri. Sono infatti numerose le considerazioni da fare. Ad esempio, il numero di APE (attestati di prestazione energetica che non sono comunque delle diagnosi energetiche) riguarda solo gli immobili interessati da compravendite e locazioni. E gli altri? Una base dati comune e dettagliata permetterebbe di stabilire sia una scala di priorità che un insieme di interventi differenziati in base alla situazione dei singoli edifici su cui si intende intervenire.

Torniamo alla direttiva EPBD: il 2030 è molto vicino, si pone un problema di tempistiche?

Il problema delle tempistiche può essere affrontato nel momento in cui si capisce l’entità degli interventi da attuare e il numero e le condizioni degli edifici su cui intervenire. Gli obiettivi fissati dalla EPBD, a mio parere, non sono al di fuori della nostra portata. Il miglioramento del 16% dei consumi energetici degli edifici al 2030, rispetto al 2020 e una riduzione del 20-22% al 2035, sono sicuramente ambiziosi, ma forse meno del miglioramento di due classi energetiche a cui mirava il superbonus. Capire la situazione attuale e quello che in Italia è possibile effettivamente realizzare alle scadenze fissate dalla direttiva è quindi il primo passo da fare.

Di conseguenza se non si parte al più presto con una mappatura dettagliata del patrimonio immobiliare e se non si inizia a elaborare in parallelo anche un piano di finanziamento a lungo termine degli interventi sarà difficile rispettare le scadenze, a partire dalla presentazione alla Commissione Europea entro il 2025 del Piano nazionale di ristrutturazione, previsto proprio dalla direttiva EPBD, che illustri il percorso dettagliato per giungere al taglio dei consumi energetici. Infine, vale la pena di sottolinearlo, tutto questo non può avvenire senza un confronto con le categorie professionali tecniche che si sono occupate negli ultimi anni delle ristrutturazioni degli edifici. E noi siamo pronti a mettere a disposizione questa conoscenza relativa al territorio nazionale.

Ma quindi è possibile fare una stima degli investimenti necessari per riqualificare il patrimonio immobiliare italiano e dei soggetti interessati?

Ritorniamo ancora una volta a parlare della necessità di una base dati comune, senza la quale non è possibile uniformare le stime degli investimenti necessari, che al momento sono piuttosto contraddittorie. Infatti secondo le ultime ricerche, l’impegno economico stimato dal report di Deloitte si attesta tra gli 800 e i 1.000 miliardi di euro mentre, secondo l’Energy Efficiency Report del Politecnico di Milano, i costi di adeguamento alla direttiva sulle case green possono essere stimati sui 180 miliardi. Infine i costi di riqualificazione da mettere in conto per avere una casa green sono ipotizzati da Codacons tra i 35.000 e i 60.000 per abitazione.

In conclusione, come CNI ribadiamo per intervenire sul contenimento dei consumi energetici per usi termici dei nostri fabbricati è in primo luogo strettamente necessario impostare una mappatura tipologica del patrimonio edilizio esistente, sulla base della quale poter effettivamente eseguire tutte le valutazioni opportune – economiche e tecniche – che possano consentire una stima attendibile di tempi e costi, in modo da poter sviluppare concretamente il Piano Nazionale di Ristrutturazione ed eventualmente proporre in Europa cosa, quanto e come il nostro Paese potrà effettivamente eseguire nell’ottica degli obiettivi della direttiva. E noi, come categoria professionale, siamo pronti e disponibili a fornire il nostro contributo in merito.