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Normativa ESG

2022: i progressi sul fronte ESG

L’arrivo del nuovo anno è spesso un buon momento per tirare le somme di quello appena trascorso. Il 2022 ha confermato l’interesse crescente verso le tematiche ESG e ha visto ulteriori fondamentali passi nella formazione della cornice normativa destinata a rappresentare l’architrave di quella trasformazione dell’economia verso modelli di produzione sostenibili. Un percorso non sempre lineare, come visto durante la crisi energetica del 2022, e che spesso trova nella mancanza di uniformità di regole e di definizioni un limite.
Per questo gli ulteriori tasselli normativi inseriti in quello che sembra diventare sempre più “il grande puzzle” della sostenibilità ambientale, sociale, economica e di governance, di cui si inizia a vedere la fisionomia complessiva, rappresenta un grande passo avanti. E potrà fornire una spinta propulsiva a tutto il processo di transizione. Il quadro di regole dovrà essere integrato nelle pratiche aziendali comuni, nelle scelte d’investimento e nelle abitudini della quotidianità.

Il 2022 è stato caratterizzato da numerose novità sul fronte normativo. Tra i primi provvedimenti, la pubblicazione della Tassonomia europea: l’atto delegato dell’UE in cui sono state elencate le attività ritenute sostenibili dal punto di vista ambientale, tra le quali, con non poco dibattito, sono state incluse alcune attività legate al nucleare e al gas che possono contribuire alla transizione verso la neutralità climatica. I dodici mesi sono terminati, invece, con l’approvazione della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Standard Directive), la direttiva che modifica la normativa esistente in materia di rendicontazione della sostenibilità e che verrà applicata a partire dal primo gennaio 2024.

Ma se il cambiamento climatico e le emissioni di CO2 hanno continuato a essere al centro dell’attenzione, con gli accordi sulla tassa sul carbonio per le importazioni, l’estensione dell’applicazione del mercato dello scambio di CO2 (EU ETS) a nuovi settori e l’istituzione del fondo per il clima, giunti poco prima di dicembre, anche sul fronte sociale L’Unione Europea ha fatto sentire la sua voce.

A marzo, infatti, la Piattaforma sulla Finanza Sostenibile, il gruppo di esperti che ha il compito di aiutare e consigliare la Commissione Europea circa le politiche di finanza sostenibile, ha pubblicato l’atteso report in cui ha proposto la struttura per una Tassonomia sociale europea che è ora messa al vaglio della Commissione. A novembre, invece, il Parlamento ha finalmente stabilito ufficialmente che entro luglio 2026, tutte le grandi società quotate in borsa dell’UE dovranno adottare misure per aumentare la presenza femminile nei loro consigli di amministrazione.

In Italia il 2022 è iniziato con l’addio alla plastica monouso, grazie al recepimento ufficiale della Direttiva UE SUP (Single Use Plastic) del 2019, e con l’entrata in Costituzione della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi. Ma se la consapevolezza della crisi ambientale aumenta, e con esse le azioni positive al riguardo, allo stesso tempo sempre maggiori e più frequenti sono gli impatti come il caldo record, la siccità e gli eventi estremi che hanno caratterizzato il bel Paese.

E anche per questo, il 2022 è stato un anno che ha visto particolarmente accrescere l’interesse e il dibattito sull’integrazione dei rischi ESG, non ultimi quelli ambientali, negli assessment aziendali e delle attività finanziarie. In particolare, la BCE a giugno ha stabilito che le banche dovranno essere conformi alle aspettative della banca centrale europea riguardo la gestione dei rischi climatici e ambientali entro il 2024, ma la strada si prospetta in salita soprattutto considerando la capacità attuale di orientare le strategie e i profili di tali rischi verso gli obiettivi fissati nei piani d’azione delle istituzioni.

Eppure, mentre in estate l’Eurosif ha cercato di stabilire quali investimenti si possono veramente definire sostenibili, nel frattempo le riflessioni sugli aspetti ESG aumentano non solo nelle grandi imprese ma sempre più anche tra le pmi – spesso a valle nella catena di fornitura delle big company.

In questo scenario, crescono le evidenze che la sostenibilità e la sua integrazione nei piani strategici e di azione aziendali faccia bene non solo al pianeta e alle persone, ma anche possa aumentare la redditività. Numerosi studi e analisi confermano che le imprese più performanti dal punto di vista ESG sono infatti quelle più solide, che hanno una probabilità di default minore e quindi un minor rischio di credito.

Il percorso verso la sostenibilità passa senza dubbio attraverso la rendicontazione e la valutazione ESG, e il mare magnum di standard e rating ESG esistenti non sempre aiuta a fare chiarezza. Ma anche su questo fronte, le istituzioni si stanno attrezzando e a questo fine sono i lavori di armonizzazione dell’EFRAG (European Financial Advisory Group) e dell’ISSB (International Sustainability Standard Board).

Inoltre, per identificare, prevenire e mitigare gli impatti negativi dell’attività delle aziende sui diritti umani e sull’ambiente, l’Unione Europea ha identificato nella direttiva CSDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), proposta dalla Commissione europea, i requisiti obbligatori di due diligence che le imprese devono attuare.

Cosa ha in serbo il 2023 lo scopriremo nei prossimi mesi. Di certo la strada è tracciata. I 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile parlano chiaro: un mondo dominato da disuguaglianze, ingiustizie, perdita di biodiversità e aumento dei gas serra non è più possibile.

Le strategie sono molte: avanzamento della tecnologia e incremento dell’utilizzo delle risorse rinnovabili, politiche inclusive e remunerazioni legate a performance ESG, alcune di esse. Ma soprattutto servirà ricordare che gli alleati sono ovunque: non ultima l’arte.