Il brutale mercato orso dello scorso anno ha colpito un’ampia gamma di strategie d’investimento e l’ESG non ha fatto eccezione. Tuttavia, questa sottoperformance è considerata una battuta d’arresto temporanea, non una tendenza irreversibile. Gli investimenti ESG rimangono centrali per la creazione di valore nel lungo periodo nell’era del riscaldamento globale e della disuguaglianza sociale, secondo un nuovo rapporto pubblicato da CREATE-Research e da Amundi, primo asset manager europeo fra i primi 10 operatori a livello mondiale. L’indagine si basa sulle risposte di 158 piani pensionistici a livello globale, che gestiscono un patrimonio di 1.910 miliardi di euro. L’obiettivo è fare luce sull’evoluzione dell’investimento ESG dopo gli eventi eccezionali del 2022.
Indice
- 1 L’interesse per l’ESG da parte dei piani pensionistici rimane forte nonostante il declino del mercato nel 2022
- 1.1 L’ESG non dovrebbe essere considerato finanza filantropica
- 1.2 Il cambiamento dell’ecosistema del mercato dei capitali e l’azione politica per il clima trainano gli investimenti ESG
- 1.3 Azioni e obbligazioni preferite rispetto agli asset alternativi per raggiungere gli obiettivi net zero
- 1.4 I progressi negli investimenti ESG sono più evidenti negli investimenti tematici e nei criteri di selezione dei manager
L’interesse per l’ESG da parte dei piani pensionistici rimane forte nonostante il declino del mercato nel 2022
Il 2022 è stato caratterizzato da un aumento dell’inflazione globale e dall’invasione russa dell’Ucraina che ha scosso i mercati dei capitali. Gli investimenti ESG hanno risentito della conseguente discesa dei mercati, e ciò ha ricordato agli investitori che non sono immuni dalle tendenze del mercato. Il 63% degli intervistati ha sperimentato le conseguenze di scommesse settoriali intempestive, poiché le azioni del settore dell’energia hanno preso il sopravvento sugli obiettivi di decarbonizzazione, e il 53% è preoccupato per l’atteggiamento politico avverso all’ESG negli Stati Uniti, il più grande mercato di fondi al mondo.
Tuttavia, il consensus indica che, come strategia, l’ESG sarà caratterizzata da battute d’arresto periodiche dovute a una dinamica più ampia che ha poco a che fare con gli investimenti ESG in sé. La maggior parte degli intervistati (79%) ritiene che i fattori ESG non danneggeranno la performance nel lungo periodo.
Di conseguenza, l’interesse rimane alto e gli investimenti ESG continueranno ad essere ben radicati nel panorama previdenziale. Nei prossimi tre anni, il 53% degli intervistati prevede un aumento della quota di investimenti ESG nei propri portafogli a gestione attiva e il 49% in quelli a gestione passiva.
“Anche il più occasionale osservatore dei mercati saprà che il 2022 è stato un anno difficile, ma nonostante il colpo inferto alle strategie ESG, è incoraggiante vedere un tale ottimismo da parte degli investitori istituzionali. L’indagine di quest’anno rivela un quadro positivo e un forte interesse dei piani pensionistici per l’ESG, e non dovremmo sottovalutare il potere di questo gruppo nello spostare l’ago della bilancia quando si tratta di avere un impatto”, ha dichiarato Vincent Mortier, Group Chief Investment Officer di Amundi.
L’ESG non dovrebbe essere considerato finanza filantropica
Una caratteristica distintiva dell’evoluzione dall’investimento socialmente responsabile all’investimento ESG è il duplice obiettivo: generare ricchezza ma fare anche la differenza per la società in generale. Un intervistato ha affermato che: “vogliamo avere prove chiare sul fatto che i nostri investimenti ESG ottengano risultati positivi sia dal punto di vista finanziario che a livello sociale”. Per far sì che i loro portafogli raggiungano questa duplice finalità, i nostri intervistati hanno evidenziato due tipologie di obiettivi.
La prima riguarda elementi di base dell’investimento: minimizzare i rischi legati ai fattori ESG (57%), aumentare i rendimenti dalle opportunità correlate (53%), cercare di ottenere benefici in due direzioni, attraverso rendimenti sia sociali e ambientali sia finanziari (51%) e ridurre la volatilità del portafoglio (34%). In particolare, solo il 14% è disposto a raggiungere gli obiettivi ESG a scapito dei rendimenti del portafoglio. La seconda riguarda questioni secondarie, come affrontare i trade-off tra i pilastri E, S e G (49%) e ridurre i rischi operativi e reputazionali (34%).
Il cambiamento dell’ecosistema del mercato dei capitali e l’azione politica per il clima trainano gli investimenti ESG
Sono diversi i fattori che spingono i piani pensionistici verso gli investimenti ESG, inclusa la mutevole natura del mercato dei capitali e l’azione politica per il clima. I mercati dei capitali si stanno evolvendo e gli utili non sono più l’unico obiettivo. Le aziende devono promuovere gli interessi degli azionisti, dei dipendenti, dei clienti e delle comunità. I mezzi principali utilizzati dai piani pensionistici per migliorare gli interessi degli stakeholder sono la stewardship e il proxy voting (68%), l’investimento in società best-in-class con punteggi ESG elevati o in via di miglioramento (56%), l’integrazione dei fattori ESG nel processo di investimento (52%), l’esclusione di società con rating ESG scadenti (41%) e l’impact investing (35%).
L’azione politica per il clima è un altro potente fattore di spinta. Due recenti politiche che hanno fatto la differenza sono l’Inflation Protection Act negli Stati Uniti e il programma Fit for 55 nell’UE. Un ulteriore impulso verrà probabilmente dalle iniziative di collaborazione di settore, come la Net Zero Asset Owner Alliance e la Net Zero Asset Managers Initiative. Attualmente, un piano pensionistico su due ha una strategia Net Zero e uno su quattro riferisce di “lavori in corso”.
“Negli ultimi 12 mesi abbiamo assistito all’annuncio di una serie di nuove iniziative normative e politiche in tutto il mondo, come l’IRA negli Stati Uniti, il piano RePowerEU e il Net Zero Industry Act in Europa. I governi e le autorità di regolamentazione hanno un ruolo importante nel promuovere gli investimenti ESG. A partire dall’incremento della trasparenza per aiutare i mercati a prezzare i rischi e le opportunità, ci aspettiamo che i decisori politici continuino a far progredire l’agenda ESG”, ha commentato Monica Defend, Head of Amundi Investment Institute.
Azioni e obbligazioni preferite rispetto agli asset alternativi per raggiungere gli obiettivi net zero
Per quanto riguarda l’asset class più adeguata per raggiungere l’obiettivo climatico Net Zero entro il 2050, il 50% preferisce l’azionario. Questo perché le azioni consentono di esercitare stewardship e proxy voting con maggiore efficacia, offrono una pronta liquidità e possono facilmente puntare a modelli di business esclusivamente ESG come le energie rinnovabili, nonché a settori in cui le emissioni di carbonio sono difficili da abbattere, come il cemento e l’acciaio.
Le obbligazioni rappresentano la seconda preferenza (41%). Poiché un numero sempre maggiore di piani pensionistici entra nella fase di liquidazione a causa dell’invecchiamento demografico, le obbligazioni verdi, sociali e legate alla sostenibilità sono diventate interessanti.
Gli asset alternativi sono al terzo posto (38%). In ordine di importanza, l’accento è posto su infrastrutture verdi, edilizia verde, private equity e private debt. Il private equity è ben posizionato per acquistare i peggiori ritardatari sotto il profilo ESG e migliorare le loro credenziali verdi sia in presenza che assenza di incentivi fiscali.
I progressi negli investimenti ESG sono più evidenti negli investimenti tematici e nei criteri di selezione dei manager
Con gli investitori che progrediscono nella curva di apprendimento ESG, i trade-off tra i singoli pilastri ESG sono diventati evidenti e si è diffuso un approccio più granulare. All’interno di ciascun pilastro sono emersi i temi preferiti. Nell’area ambientale i cambiamenti climatici e le emissioni di carbonio sono i più gettonati (63%), seguiti dalla biodiversità (48%), dalla scarsità d’acqua (42%) e dalla gestione dei rifiuti (36%). Nel pilastro sociale sono il coinvolgimento dei dipendenti e gli standard di lavoro (57%), i diritti umani (42%) e la protezione dei dati e della privacy (32%). Nel pilastro della governance sono i compensi degli executive legati ai risultati ESG (61%), la diversity nel consiglio di amministrazione (57%), una struttura indipendente del comitato di audit (46%) e la tolleranza zero nei confronti di corruzione e concussione (40%).
Con l’avanzamento dei piani pensionistici nel loro percorso ESG, l’elenco dei criteri di selezione dei gestori esterni per gli investimenti ESG è cresciuto. I criteri possono essere suddivisi in qualificanti e differenzianti. Il primo gruppo riguarda fattori di base dell’investimento che conferiscono al gestore una credibilità di fondo. Tra questi vi è una struttura di commissioni conveniente (58%), seguita dai valori ESG fondamentali incorporati nella cultura aziendale (56%). Il secondo gruppo ha un peso maggiore in quanto include attività per la creazione di valore, come un track record nel raggiungimento degli obiettivi ESG dei clienti (67%), nonché nella stewardship e nel proxy voting (65%). L’insieme comprende anche un pool di talenti ampio e qualificato (63%), seguito da una riconosciuta leadership di pensiero nei contenuti (57%).