I principali investitori istituzionali stanno iniziando a ridurre la loro esposizione ai mercati statunitensi, preoccupati dall’imprevedibilità della politica commerciale di Donald Trump e dall’aumento vertiginoso del debito pubblico americano. Questi fattori stanno minando la fiducia nella tradizionale dominanza degli asset statunitensi nei portafogli globali. È quanto osserva il Financial Times, evidenziando come le tensioni commerciali innescate da Trump hanno agitato i mercati internazionali negli ultimi mesi, contribuendo a un forte calo del dollaro e a performance borsistiche statunitensi inferiori rispetto a quelle europee. Inoltre, la riforma fiscale voluta dal presidente, che potrebbe aggiungere 2.400 miliardi di dollari al debito americano nel prossimo decennio, ha intensificato le pressioni sui titoli del Tesoro USA.
Seth Bernstein, CEO di AllianceBernstein, ha affermato, secondo quanto si legge sulla testata britannica, che è tempo di “ripensare” l’esposizione agli Stati Uniti, giudicando insostenibile l’attuale livello di indebitamento pubblico, specialmente in combinazione con l’instabilità delle politiche commerciali. Anche un alto dirigente di una società americana di private equity ha definito l’introduzione dei dazi da parte di Trump come un vero “campanello d’allarme” per chi era troppo esposto al mercato statunitense.
Già ora, quindi, si osserva come alcuni investitori stiano agendo. La Caisse de dépôt et placement du Québec, secondo fondo pensione canadese, per esempio ha annunciato l’intenzione di ridurre la propria esposizione agli USA (attualmente pari al 40% del portafoglio), aumentando invece gli investimenti nel Regno Unito, in Francia e in Germania. Al contempo, il FT riporta le dichiarazioni di Howard Marks, cofondatore di Oaktree Capital Management, secondo i quale, anche se gli Stati Uniti sono stati per un secolo il miglior posto dove investire, oggi diversi investitori cominciano a mettere in discussione questa “eccezionalità americana” e stanno rivalutando le loro strategie di allocazione.
Nonostante il recupero di Wall Street dopo l’annuncio dei dazi il 2 aprile, l’indice S&P 500 è cresciuto di meno del 2% dall’inizio dell’anno, contro il +9% dello Stoxx Europe 600. Inoltre, il dollaro è vicino ai minimi degli ultimi tre anni, in calo del 9% nel 2025, sebbene Trump abbia in parte ritirato le tariffe annunciate.
E se da un lato molti riconoscano ancora la centralità dell’economia americana e la profondità dei suoi mercati finanziari, dall’altro cresce la percezione che l’era di sovraperformance e afflussi costanti di capitali – che ha portato la quota degli USA nel mercato azionario globale a circa due terzi – possa essere arrivata a un punto di svolta.
Richard Oldfield, CEO del gestore patrimoniale britannico Schroders, ha affermato che si notano i primi segnali di un disimpegno dagli USA. A beneficiarne sono i mercati europei, trainati anche dal piano di spesa tedesco da mille miliardi di euro su difesa e infrastrutture, che potrebbe stimolare la crescita. Al contempo, riporta il giornale UK, Tom Nides, vicepresidente di Blackstone, ha dichiarato di essere ottimista sull’Europa, sottolineando come gli asset europei oggi rappresentino un’alternativa attraente, grazie alla maggiore stabilità politica.
La società di investimento Neuberger Berman, con sede a New York, ha portato al 65% la quota dei suoi co-investimenti in private equity in Europa nel 2025, rispetto al 20-30% degli anni precedenti. Joana Rocha Scaff, responsabile per l’Europa, ha sottolineato che l’interesse crescente non è legato solo ai dazi: sebbene il contesto macroeconomico europeo non sia più favorevole di quello statunitense, è percepito come più stabile, soprattutto in confronto all’incertezza interna e ai cambi fiscali proposti negli USA.
Tuttavia, non tutti sono convinti che i mercati europei e asiatici – spesso più piccoli e frammentati – possano offrire una vera alternativa. Howard Marks ha infatti osservato, conclude il FT, che l’Europa soffre ancora di una crescita debole e di eccessiva regolamentazione, mentre la Cina resta un mercato complesso.