Dibattito su ESG e Russia

Russia-Ucraina: il quadro per gli investitori ESG si complica

Cosa vuol dire fare ESG e investire in Russia? Il tema è di particolare attualità nei giorni concitati del conflitto in Ucraina, e sta tenendo con il fiato sospeso gli investitori, da un lato in difficoltà a disfarsi delle proprie partecipazioni alla luce delle sanzioni, dall’altra per gli interrogativi su quanto un’esposizione su un Paese impegnato in un’offensiva bellica sia compatibile con un approccio ESG.

Al tema è anche dedicato un op-ed di Matt Levine su Bloomberg, in cui l’autore riflette sul concetto di investimento diretto in attività sostenibili, engagement, e sulla difficoltà di applicare queste considerazioni in un momento come quello attuale. Levin argomenta, per esempio, che vendere azioni quotate in Borsa di una società che opera in un settore in forte contrasto con i criteri ESG (come il carbone) sul mercato secondario non equivale a rifiutare di finanziare quelle attività. Quelle azioni, infatti, verranno comprate da qualcun altro a buon mercato nel breve termine. Nel lungo termine la situazione cambia, perché la depressione delle azioni abbasserà il rendimento previsto dall’apertura di nuove miniere di carbone, disincentivandola. Ma vendere quelle azioni non è comunque la stessa cosa di rifiutarsi di finanziare l’apertura di una miniera di carbone, per restare in argomento.

Nel contesto dell’occupazione dell’Ucraina da parte della Russia, il quadro si complica ulteriormente. Comprare gli asset russi in questo momento è diventato molto rischioso e difficile, soprattutto da un punto di vista politico. Senza considerare il rischio geopolitico, le sanzioni rendono i beni russi poco attraenti da un punto di vista finanziario, tanto per gli europei quanto per gli asiatici, quindi, suggerisce Levine, probabilmente sarebbero gli investitori russi stessi i maggiori acquirenti dei propri asset. 

Certo, le transazioni al momento sono di fatto impossibili e bloccate, dato che la negoziazione di azioni sulla borsa di Mosca è stata cancellata e il rublo è sceso ai minimi storici. Per questo motivo, molte grandi società, tra cui British Petroleum (BP) e Shell (e non solo, visto che la lista di società in fuga si allunga sempre di più e si allarga a tutti i settori), stanno scegliendo di uscire dal mercato russo. 

Tuttavia, questa è una “quasi soluzione”, perché l’impossibilità di vendita significa che i colossi come BP continuano a possedere le partecipazioni negli asset russi. Inoltre, ciò si potrebbe tradurre in una possibilità per le aziende russe, come Rosneft, di cancellare gratuitamente i crediti azionari sulle proprie attività: quasi un favore, quindi, che ridurrebbe l’effetto delle sanzioni. 

L’eliminazione della Russia dal circuito SWIFT, inoltre, comporta un’ulteriore chiusura del mercato russo agli investitori, dal momento che la maggior parte degli scambi transfrontalieri sono regolati in dollari USA, e le banche sono responsabili della gestione del rischio di valuta per tali transazioni.

Secondo il Financial Times, anche in questo caso nel breve periodo tutto questo potrebbe comportare un vantaggio per la Russia, seppure non nel lungo periodo, perché “gli acquirenti russi possono comprare azioni e non pagarle”. 

I due principali depositari, Euroclear e Clearstream, pilastri del sistema finanziario con circa 50 miliardi di euro di beni in custodia per gli investitori globali, stanno decidendo di fermare gli investitori dalla compensazione degli scambi che coinvolgono titoli denominati in rubli

Putin, dal canto suo, ha vietato a tutti i residenti russi di trasferire valuta estera al di fuori del Paese, irrigidendo i controlli sui capitali come ritorsione per le sanzioni dell’Occidente, sebbene la banca centrale russa abbia poi chiarito che il divieto “copre solo i nuovi prestiti e non il servizio del debito esistente”.

Allo stesso tempo, anche il mercato ucraino sembra sempre più inaccessibile. Comprare obbligazioni di guerra ucraine, infatti, è molto difficile; il ministero delle finanze ucraino ha inoltre tagliato l’accesso al suo sito web per il timore di cyber attacchi, rendendo praticamente impossibile per gli investitori accedere a informazioni vitali per investire. Tutto questo significa, secondo alcune persone che hanno familiarità con il pensiero dei gestori di portafoglio citate da Levine, che all’asta delle obbligazioni di guerra ucraine, diversi fondi obbligazionari internazionali rimarrebbero ai margini. 

Nell’attuale sistema di regolamento per i trasferimenti finanziari internazionali, sembra che nessuno sappia bene come rispondere a una guerra. Un esempio lampante, secondo Levine, è l’attuale questione (morale) della decisione dei principali scambi di criptovalute di non assecondare la richiesta della leadership ucraina di congelare i conti di tutte le persone che si trovano in Russia e Bielorussia. Il mercato delle criptovalute si appella al fatto che questa tattica danneggerebbe ingiustamente i civili e che è in contrasto con l’“ideologia” libertaria della comunità cripto. Questa vicenda, secondo Levine, evidenzia che gli intermediari finanziari necessari nel mercato delle criptovalute per realizzare gli scambi e trasformare, in questo caso, i rubli in Bitcoin, sono soggetti a pressioni politiche. Inoltre, un’altra complicazione alla decisione di non penalizzare la Russia è data dal fatto che ogni scambio di criptovalute ha un dipartimento di conformità soggetto alle leggi degli stati in cui opera, comprese le leggi sulle sanzioni.

Questo aspetto può apparire secondario ma non lo è: l’inclusione finanziaria è un aspetto da considerare quando si parla di sostenibilità, in particolare in relazione agli aspetti sociali.

La “S” di ESG è, in effetti, l’aspetto più compromesso dell’acronimo, spiega Levine: molte importanti questioni sociali, infatti, sono contestate e impegnarsi socialmente richiede di prendere specifiche posizioni su tali questioni. In seguito all’escalation dell’invasione russa, ci si è ritrovati a riflettere sul tema delle armi, se debbano rientrare trade attività ESG o meno, per garantire un accesso più favorevole ai finanziamenti. Per questo, la Piattaforma europea sulla finanza sostenibile ha presentato lunedì il report sulla tassonomia sociale, ma ci vorrà tempo prima che la Commissione Europea – per la quale il report non è vincolante – proponga una bozza e che si arrivi successivamente a un documento definitivo. Pertanto, la tassonomia sociale non sarà pronta nel breve termine per aiutare gli Stati ad avere un approccio chiaro e univoco, anche rispetto al conflitto russo-ucraino.