Le società quotate in Borsa sono sempre più sostenibili e sempre più interessate a certificare il loro impegno in ambito ESG. È quanto emerge dallo studio “Le Società Benefit come possibile modello di sviluppo anche per le società quotate”, l’indagine, presentata nel corso di un evento organizzato da Deloitte, condotta dall’ESG European Institute che indaga l’orientamento rispetto al modello Società Benefit da parte delle società quotate e degli altri soggetti rilevanti del mercato, come investitori istituzionali, proxy advisors, associazioni di categoria, banche d’affari e società di consulenza strategica.
Dallo studio emerge che oltre l’80 % delle società ha interesse a essere sostenibile da un punto di vista economico, sociale ed ambientale e a darne visibilità. Inoltre, più di un quarto di queste sta valutando la possibilità di assumere lo status di Società Benefit o di acquisire la certificazione B Corp.
Nate nel 2006 negli Stati Uniti, le Benefit Corporation (B Corp), rappresentano un nuovo modello di business che concilia, nell’ambito degli scopi previsti nell’oggetto sociale, oltre al naturale perseguimento del profitto e quindi dello scopo di lucro, anche il bene comune (con impatti positivi, ad esempio, sull’ambiente, sul progresso sociale o sul benessere della collettività su cui l’attività d’impresa può generare ricadute), a beneficio quindi non solo dei soci ma anche di tutti gli stakeholders coinvolti.
Le Società Benefit, anch’esse introdotte negli Stati Uniti nel 2006 e nel nostro ordinamento dalla Legge di Stabilità del 2016, si configurano come società che oltre allo scopo di dividere gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente e di altri portatori di interessi. Le Società Benefit sono tenute a sottoporsi ad una valutazione quantitativa e qualitativa dell’impatto sociale generato, ossia delle proprie performance sociali e ambientali, utilizzando uno standard di valutazione esterno che rispetti i requisiti indicati dalla legge.
Il restante 20% delle socie quotate, ovvero quelle che non mostrano interesse verso Benefit e B Corp, temono l’insorgenza del diritto di recesso in seguito alla modifica dell’oggetto sociale, l’assenza di benefici o agevolazioni a fronte dell’onerosità delle strutture interne di monitoraggio della finalità Benefit, ma anche le incertezze collegate a una normativa poco chiara. Rispetto alle Società B Corp, preoccupa particolarmente l’obbligo di diventare Società Benefit in seguito all’acquisizione della certificazione e si considera l’assessment complesso e oneroso.
Gli altri soggetti rilevanti del mercato si dividono in tre orientamenti: il primo, maggioritario, vede con favore l’eventuale acquisizione dello status Benefit da parte delle grandi società quotate, anche in virtù di un effetto traino esercitabile sulle PMI; il secondo esprime una posizione neutrale, in attesa delle nuove indicazioni comunitarie contenute nella Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD); il terzo, minoritario, è invece sfavorevole, ritenendo già presenti strumenti adeguati a dimostrare l’impegno di un’azienda in termini di sostenibilità.
“La normativa italiana che ha introdotto le Società Benefit nel nostro ordinamento rappresenta una straordinaria opportunità per le aziende italiane di coniugare in modo virtuoso il proprio scopo di lucro con un beneficio in favore del territorio, delle persone e dell’ambiente in cui operano”, commenta Barbara Pontecorvo Head di Deloitte Legal Società Benefit Task Force.
“Questa opportunità è stata colta da Deloitte Italia, la prima delle Big Four che ha trasformato le proprie società in Società Benefit, segnando la strada ad altri grandi gruppi che vorranno seguirne l’esempio” aggiunge Franco Amelio, Sustainability Leader di Deloitte.
Trasversalmente si rileva un orientamento favorevole nel caso di società di piccole e medie dimensioni e la convinzione che la forma Benefit, indipendentemente dalle dimensioni e quotazioni della società, non comporti di per sé il rischio di dividend policy meno appetibili né di risultati meno performanti.