Il 66,5% delle imprese italiane ha dichiarato di aver realizzato azioni di sostenibilità, con una buona propensione anche delle medie imprese e un ampio margine di miglioramento per le piccole imprese. L’Italia, inoltre, è leader in Europa per l’economia circolare, con un tasso di circolarità del 18,7%, superiore alla media europea dell’11,5%. Questi sono alcuni dei dati emersi dal Focus On di SACE dal titolo Economia circolare: una leadership multi-filiera, un’analisi elaborata dall’Ufficio Studi scritta da Marina Benedetti, Valentina Cariani e Giovanni Salinaro sull’approccio delle imprese italiane all’economia circolare, il loro posizionamento rispetto ai peer europei, gli investimenti effettuati e l’effetto moltiplicatore generato nelle filiere.
Definizione di economia circolare
L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che genera produttività e competitività, garantendo efficienza energetica, economie di scala e maggiore sostenibilità ambientale (Figura 1).
È un modello che le aziende devono adottare perché porta efficienza energetica, economie di scala e sostenibilità ambientale, traducendosi quindi in maggiore produttività e competitività. L’approccio circolare ha, inoltre, un “effetto moltiplicatore” che si chiama filiera: ogni impresa è, infatti, chiamata a rivedere le proprie strategie di produzione e vendita in chiave circolare per sfruttare i diversi benefici che ne derivano; l’agire in filiera, insieme alle altre imprese nella stessa catena del valore, porta a un’importante condivisione di conoscenze, tecnologie, esperienze che permette di cogliere ancora di più le opportunità che l’economia circolare mette a disposizione.
Approccio circolare e formazione
Investire in un approccio circolare porta, infatti, numerosi vantaggi tra cui la riduzione dei costi di produzione, il miglioramento dell’impronta carbonica e un più semplice accesso al credito. Tuttavia, permangono ostacoli all’adozione, soprattutto per le imprese di piccola dimensione, su tutte la carenza di competenze (Figura 2).
La formazione dei dipendenti sulle pratiche sostenibili e l’adozione di nuove tecnologie come la digitalizzazione, in particolare PMI, con la produttività che può arrivare fino al 14% per le imprese che investono per la transizione digitale e green, e l’intelligenza artificiale possono essere cruciali per il successo dell’economia circolare. Questo cambiamento culturale e tecnico può incentivare un miglioramento delle pratiche aziendali.
Oltre alle barriere di tipo burocratico e finanziario, per un’impresa su tre un ostacolo alla circolarità risulta la formazione. Formare i dipendenti sulle pratiche di economia circolare, nonché sulla normativa, e sulla loro importanza è cruciale per incentivare un necessario cambiamento culturale all’interno dell’azienda. Un cambiamento che dovrà essere anche tecnico, alla luce delle nuove opportunità che strumenti come la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale mettono a disposizione delle imprese che sono in grado di coglierle.
Filiere circolari
La circolarità coinvolge diverse filiere eterogenee (Figura 3): queste filiere hanno integrato pratiche circolari nelle loro fasi produttive che vanno dalla scelta di materie prime (o secondarie) più green all’impiego di energia da fonti rinnovabili, all’utilizzo della digitalizzazione per efficientare la produzione e minimizzare gli scarti, fino alla realizzazione di prodotti che durino nel tempo, possano essere riutilizzati o riprocessati.
La filiera è fondamentale per creare un circolo virtuoso fra diverse imprese appartenenti alla catena del valore che con l’approccio circolare possono condividere conoscenze, tecnologie, esperienze, riducendo i costi e massimizzando la produttività. In tal senso, un ruolo importante potrà essere giocato dal capofiliera, che farà da traino e da punto di riferimento per le imprese di minore dimensione appartenenti anche a filiere diverse; in quest’ottica l’economia circolare si realizza in un approccio multi-filiera.
Primo tra tutti c’è il settore agroalimentare, particolarmente esposto agli effetti del cambiamento climatico e della sicurezza alimentare: la filiera agricola, in particolare quella biologica, ha integrato nelle varie fasi produttive le dinamiche circolari (in particolare irrigazione, concimazione e lavorazione alimentare) e continua a innovare verso pratiche agricole sostenibili e a elevato contenuto tecnologico.
Gli imballaggi, con le sollecitazioni delle novità normative europee, hanno guardato con interesse alle soluzioni di packaging con materiali sostenibili prodotti nell’ambito dell’economia circolare, come le bioplastiche compostabili, materiali a elevato contenuto di materia riciclata.
Il tessile e abbigliamento spicca tra le filiere più attive nell’adozione di pratiche di circolarità per il suo elevato impatto ambientale, sia in termini di carbon footprint che di gestione delle sostanze chimiche legate ai processi di lavorazione: oltre il 40% del valore della produzione è già caratterizzata da pratiche bio-based, percentuale che supera il 50% la concia e pelletteria che negli ultimi anni ha adottato non solo pratiche di riciclo degli scarti della produzione, ma anche di utilizzo di sostanze concianti di origine naturale (in alternativa agli attuali minerali) o a minore impatto in termini di inquinamento.
I nuovi pacchetti legislativi adottati a livello europeo e quindi nazionale pongono nuove sfide per diversi settori, chiamati a rivedere le proprie strategie di business in ottica sempre più circolare: dall’arredo alla chimica, oltre all’agroalimentare al tessile e l’abbigliamento, senza tralasciare settori di grande rilevanza come per esempio l’acciaio devono oggi ripensare i prodotti affinché siano più sostenibili, durevoli nel tempo, riutilizzabili o riprocessabili e rivedere le proprie scelte aziendali per essere più innovative, redditizie e competitive, trasparenti nell’informativa sostenibile e a minor impatto ambientale.
Un’impresa inizia il suo “percorso circolare” a partire dalle materie prime, che siano esse primarie o secondarie, input e al contempo output imprescindibili per una produzione sostenibile e che sia volta all’approvvigionamento continuo, senza interruzioni, che sia a prezzi accessibili e, non da ultimo, contribuisca alla lotta al cambiamento climatico (Figura 4).
Risultati dell’Italia
L’Italia è leader in Europa per l’economia circolare (Figura 5): le imprese italiane strettamente attive nel settore dell’economia circolare realizzano il più alto valore aggiunto in rapporto al Pil (2,5%), superiore sia al primo principale peer europeo (Germania 2,2%) sia alla media europea (2,1%). Anche in termini di persone impiegate nel settore l’Italia si posiziona davanti sia ai principali peer europei, sia alla media Ue. Questo primato si riflette in diverse componenti, dalla produzione e consumo alla riduzione dell’impronta carbonica e alla competitività.
In sintesi, a partire dal 2010, primo anno disponibile, l’Italia ha accresciuto il tasso di circolarità di oltre 7 punti percentuali (oggi al 18,7%); una dinamica che si è invece mantenuta stabile nella media europea (11,5%, +0,8 p.p.) con i principali peer europei a riportare performance nettamente inferiori.
Le pratiche dell’economia circolare coinvolgono alcune eccellenze del Made in Italy, come l’occhialeria, che conta oltre 800 aziende in Italia, concentrate in particolare in Veneto e nel distretto della provincia di Belluno, e un export che nel 2023 ha superato i €5 miliardi. L’attenzione ai temi della sostenibilità ha portato a numerose iniziative di modifica dei processi produttivi che prevedono sia il ricorso a materiale di recupero rigenerato o a ridotto impatto come le plastiche bio-based o biodegradabili, sia l’efficientamento dell’iter di produzione in termini energetici.
Prospettive europee
L’Europa, al momento, non ha un programma di finanziamento dedicato alle diverse fasi della filiera di fornitura delle materie prime critiche che possa competere con gli importi offerti in altre regioni del mondo. Gran parte degli investimenti richiesti deve provenire dal settore privato, ma per fare ciò è necessaria una riduzione strategica del rischio lungo la filiera, ad esempio tramite capitale, e un ruolo di primo piano da parte di governi e istituzioni finanziarie.
Il contesto geopolitico e le crisi degli ultimi anni a partire dalla pandemia hanno evidenziato come l’Europa sia particolarmente esposta all’import di materie prime: meno del 7% della produzione globale della maggior parte delle risorse critiche avviene dentro i confini europei. A differenza di altri concorrenti, come la Cina, l’estrazione e il commercio di materie prime nell’Ue sono in gran parte lasciati ad attori privati e al mercato.