Negli Stati Uniti, dove la corsa presidenziale sta quasi imboccando la dirittura d’arrivo, il 10 settembre segna una tappa fondamentale per i due candidati che, per la prima volta, si affronteranno in un dibattito televisivo. Sulla scia dell’ottimismo seguito all’annuncio del ritiro di Joe Biden e all’investitura di Kamala Harris da parte del Partito Democratico, quest’ultima, in testa nei sondaggi ormai con il 47% rispetto al 44% di Donald Trump, dovrà evitare uno scivolone che annienterebbe il suo vantaggio. Dal canto suo, il candidato repubblicano, al quale la vittoria sembrava scontata mentre Joe Biden era in gara, cercherà di riprendere il sopravvento.
Questo primo confronto consente anche di analizzare i programmi dei due candidati e, soprattutto, di valutarne gli impatti sull’economia e, di riflesso, sui mercati finanziari. La prestigiosa Wharton School of the University of Pennsylvania ha di recente svolto questo esercizio dal quale emergono alcune conclusioni fondamentali. In termini di impatto sulla crescita rispetto all’attuale legislazione, i ricercatori stimano che gli effetti del programma di Kamala Harris sarebbero significativamente negativi nel breve, medio e lungo termine, mentre il programma di Donald Trump avrebbe un effetto positivo sulla crescita nel breve ma negativo nel medio e lungo termine, anche se in misura nettamente inferiore.
Di contro, il programma dell’ex presidente Trump è ritenuto molto più costoso per le finanze statunitensi rispetto a quello dell’attuale vicepresidente. Certo, lo studio specifica che i rialzi dei dazi doganali annunciati da Donald Trump non sono inclusi nel calcolo in quanto mancano i dettagli relativi a queste misure e non vi è certezza quanto ai loro effetti secondari potenziali, tra cui le misure di ritorsione che potrebbero essere adottate dai Paesi interessati. È tuttavia poco probabile che questa parte del programma di Trump riesca a compensare la differenza significativa in termini di aumento del deficit stimata dalla Wharton School: 5.800 miliardi di dollari di deficit aggiuntivo da qui al 2034 per il programma di Trump rispetto ai 1.200 miliardi di dollari per quello di Harris.
I due programmi, in definitiva, possono essere sintetizzati sotto forma di un duello: più crescita nel breve termine contro maggiore sostenibilità per il bilancio nel lungo termine. Se gli economisti preferiscono sicuramente la seconda soluzione, i mercati finanziari ragionano molto di più a breve termine. Tanto più che il programma di Kamala Harris prevede una serie di misure che non depongono di certo a favore delle imprese: aumento dell’imposta sulle società dal 21% al 28%, aumento dell’aliquota fiscale sugli utili realizzati all’estero dal 10,5% al 21%, aumento di quattro volte, dall’1% al 4%, dell’imposta sui riacquisti di azioni… Una serie di iniziative cui le borse americane dovrebbero riservare un’accoglienza più che gelida.
Una vittoria di Kamala Harris alle elezioni presidenziali non significherebbe però l’applicazione rapida e automatica di queste misure. In realtà, tutto dipenderà dalla composizione del futuro Congresso, l’unico a poter ratificare le modifiche legislative, ad eccezione delle misure di politica estera, tra cui i dazi, che rimangono di competenza del Presidente. Un Congresso con una maggioranza repubblicana, come avvenne in occasione della rielezione di Bill Clinton nel 1996, o semplicemente diviso, limiterebbe molto il margine di manovra di Kamala Harris qualora eletta, nel caso soprattutto dell’aumento delle imposte sulle imprese che costituirebbe probabilmente una linea rossa per il campo repubblicano.
Nel complesso, il dibattito del 10 settembre avrà probabilmente un impatto significativo sull’esito delle elezioni presidenziali ma non prefigurerà in nessun modo il programma economico che verrà effettivamente attuato negli Stati Uniti nei primi mesi del 2025. A maggior ragione se l’economia, e l’occupazione soprattutto, continuerà a peggiorare e gli Stati Uniti andranno incontro a un forte rallentamento, se non addirittura a una recessione: è molto probabile che le misure attuate non avranno più molto a che fare con quelle proposte dai due candidati alla Casa Bianca.