Dopo aver raggiunto con due anni di anticipo gli obiettivi del precedente piano, Pirelli ha definito una nuova road map di decarbonizzazione che pone la sua strategia in linea con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi per il mantenimento del riscaldamento globale entro gli 1,5°C. Il target di Net Zero è attualmente il più ambizioso tra i produttori di pneumatici e recentemente è stato validato da SBTi, l’iniziativa nata sotto l’egida delle Nazioni Unite con l’intento di guidare le attività verso un’economia a basso livello di carbonio in modo scientifico. Un obiettivo, che per Pirelli si inserisce in un più ampio e articolato piano di sostenibilità che vede al centro anche le persone, l’ambiente e il miglioramento del prodotto. Alla guida del team responsabile di definire la strategia di decarbonizzazione di Pirelli c’è Simone Pala, ingegnere in azienda da 24 anni, che ben conosce l’operatività del business avendo ricoperto diversi ruoli operativi nel gruppo.
A marzo avete approvato la nuova road map di decarbonizzazione, recentemente validata da SBTi. Quali sono i vostri nuovi obiettivi?
La strategia si basa su un nuovo piano che ridefinisce i traguardi del gruppo con un approccio a breve e lungo termine. I precedenti target avevano come anno base il 2015 per gli Scope 1 e 2 e il 2018 per lo Scope 3. Adesso, i nuovi obiettivi prevedono una riduzione delle emissioni dell’80% per gli scopi 1 e 2 entro il 2030 rispetto al 2018 e, in conformità con lo standard ISO 14068, le emissioni residue saranno compensate con crediti provenienti da progetti certificati, prevalentemente bio-based.
Per lo Scope 3, che riguarda la supply chain, l’obiettivo è una riduzione del 30% delle emissioni entro il 2030 nelle tre categorie che abbiamo circoscritto nel target: fornitori di materie prime, attività legate all’energia e logistica. Il target a lungo termine è il raggiungimento del Net Zero entro il 2040, con una riduzione di almeno il 90% delle emissioni complessive di tutta la catena del valore (Scope 1, 2 e 3). Le emissioni residue inevitabili verranno compensate tramite progetti nature-based o technological-based, in funzione delle soluzioni disponibili al momento del raggiungimento del target nel 2040.
Quali sono le principali fonti delle vostre emissioni? Da quali processi o materiali derivano? E quanto pesano le emissioni Scope 3 rispetto a quelle Scope 1 e 2?
Le emissioni Scope 1 e 2 derivano principalmente dalle nostre operazioni interne, in particolare dagli stabilimenti produttivi. Lo Scope 1 riguarda l’energia che generiamo internamente, prevalentemente utilizzando gas naturale per produrre energia termica, che rappresenta circa il 50% dell’energia totale consumata. Lo Scope 2 invece si riferisce all’energia elettrica acquistata dall’esterno, che copre l’altro 50%. Una piccola parte di queste emissioni proviene da uffici e dalla sede centrale, ma si tratta di una percentuale minima rispetto al totale.
Le emissioni Scope 3, invece, sono principalmente legate alle materie prime acquistate dai fornitori e utilizzate nel processo produttivo degli pneumatici che rappresentano circa l’86% del carbon footprint totale di Pirelli, mentre le emissioni Scope 1 e 2 costituiscono il restante 14%.
Che tipo di iniziative avete intrapreso per coinvolgere la vostra catena di fornitura? Avete protocolli specifici o piattaforme di riferimento?
Nel 2023 abbiamo avviato un progetto per migliorare la precisione del calcolo delle emissioni Scope 3, che inizialmente veniva effettuato utilizzando database esterni (dati secondari). Abbiamo sviluppato un modello che ci consente di raccogliere dati primari dai fornitori, strutturato in tre livelli: in primo luogo i dati provenienti dai certificati ambientali (ESI) dei fornitori, poi dai dati raccolti tramite questionari RFI (Request for Information) inviati a tutti i fornitori, le cui risposte vengono inserite nel nostro modello per calcolare le emissioni e infine, in mancanza di dati primari, utilizziamo i database di riferimento, che contengono dati secondari.
Grazie a questo processo, siamo riusciti a coprire oltre il 90% della nostra base emissiva con dati primari, che ci permette di ottenere calcoli molto più accurati. Questo ci ha offerto due principali vantaggi: una precisione superiore rispetto ai database generici che utilizzano medie globali e la possibilità di interagire direttamente con i fornitori, chiedendo loro di adottare strategie di decarbonizzazione, fissando a loro volta obiettivi concreti e implementando progetti di efficienza energetica e utilizzo di energia da fonti rinnovabili.
La validazione da parte di SBTi vi offre più vantaggi dal punto di vista finanziario o ci sono altre ragioni dietro questa scelta?
La validazione di SBTi, basata su un approccio scientifico, ci permette di garantire che i nostri obiettivi siano allineati con la traiettoria per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, come previsto dall’Accordo di Parigi. La validazione non solo ci fornisce una certificazione tecnica, ma ci conferisce anche credibilità agli occhi degli investitori, banche e altri soggetti finanziari.
Quali sono le principali sfide che avete incontrato lungo questo percorso?
La sfida più grande è sicuramente legata allo Scope 3, che rappresenta l’86% delle nostre emissioni totali. A differenza delle emissioni Scope 1 e 2, su cui abbiamo un controllo diretto, le emissioni Scope 3 dipendono dai nostri fornitori, il che rende il processo di riduzione molto più complesso. Inoltre, la varietà dei fornitori – dalle grandi aziende strutturate alle piccole imprese – implica la necessità di approcci differenziati per ciascuno di loro. Abbiamo dovuto lavorare a stretto contatto con i fornitori per spiegare le nostre strategie e coinvolgerli nei nostri obiettivi di decarbonizzazione, anche perché partivano da situazioni molto eterogenee con alcuni più avanti e altri meno nel proprio percorso di decarbonizzazione. E proprio a questi ultimi abbiamo messo a disposizione tutta la nostra esperienza e supporto.
Per quanto riguarda la compensazione delle emissioni residue, avete considerato progetti naturali o altre soluzioni innovative, come la cattura della CO2?
Stiamo valutando diverse opzioni, tra cui progetti di cattura e stoccaggio del carbonio. Durante un workshop in Brasile, abbiamo visitato un impianto di produzione di vapore alimentato a biomassa, con l’idea di applicarvi anche un sistema di carbon capture and storage della CO2 biogenica. Questo consentirebbe non solo di compensare, ma di raggiungere un bilancio a meno uno, compensando anche la CO2 biogenica. Queste tecnologie sono ancora in fase di sviluppo e non ancora pronte per essere implementate su larga scala, sebbene stiamo monitorando progetti in corso di sviluppo per valutare la loro applicabilità futura.
Per il momento abbiamo avviato un’analisi sui certificati perché il loro mercato è in rapida evoluzione. Con una domanda potenziale che rappresenta 14 volte l’offerta, quindi con una disponibilità limitata, risulta chiaro che i prezzi dei certificati sono destinati a crescere. Quindi stiamo pianificando con anticipo una strategia anche sui crediti di carbonio per arrivare pronti al 2030.
Per quanto riguarda gli pneumatici a fine vita, rientrano nel calcolo delle emissioni o sono considerati separatamente?
Sì, i pneumatici a fine vita (End of Life Tires) fanno parte del nostro calcolo del carbon footprint, anche se rappresentano una percentuale relativamente piccola. Stiamo lavorando anche al recupero delle materie prime e seconde, come parte della nostra strategia di economia circolare. Nella strategia di decarbonizzazione per quanto riguarda lo Scope 3, infatti, oltre all’importanza della catena di fornitura, un altro aspetto molto rilevante è il passaggio da materie prime carbon based a materie prime bio-based and recycled. Per quanto riguarda le materie prime, quindi, la strategia è quella di arrivare entro il 2030 al 40% di materiale bio-based o recycled nella nostra produzione e all’80% entro il 2040.
Pensa che riusciremo a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C?
Noi siamo impegnati a raggiungere tutti i nostri obiettivi, che sono allineati alla traiettoria per mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C. Tuttavia, la sfida è globale. L’Europa contribuisce solo per il 7% alle emissioni mondiali, mentre i principali emettitori sono Stati Uniti, Cina e India. È fondamentale che anche queste nazioni si impegnino se vogliamo raggiungere l’obiettivo globale.