Oggi, 20 gennaio, l’inaugurazione del presidente Trump coinciderà con l’inizio dell’edizione 2025 del World Economic Forum, a circa 4.000 miglia di distanza, a Davos, in Svizzera.
Entrambi gli eventi seguono rapidamente un inizio tumultuoso dell’anno nel campo degli investimenti sostenibili, segnato da un cambio di rotta della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ) solo poche settimane prima, dal ritiro di BlackRock dall’iniziativa Net Zero Asset Managers (NZAM) e dalla successiva sospensione delle attività della stessa iniziativa.
Cosa aspettarsi dunque dal World Economic Forum 2025 in termini di investimenti sostenibili? Davos 2025 potrebbe segnare una nuova fase per gli investimenti ESG caratterizzata dall’adozione di approcci più sofisticati, rispetto a quanto visto sinora, volti a conciliare le previsioni degli impatti sui cambiamenti sistemici nell’economia globale con le questioni relative ai modelli di business che riusciranno a ottenere successo a lungo termine.
In apertura dell’evento in Svizzera, Thomas Hohne-Sparborth, Head of Sustainability Research di Lombard Odier Investment Managers fa il punto con ESGnews.
Stiamo assistendo a una sorta di retrofront sui temi ESG negli Stati Uniti, ma le questioni della sostenibilità non possono essere mutate da un giorno all’altro. Quali sono i punti fermi di chi continua a supportare gli investimenti sostenibili?
Nonostante i molti cambiamenti di gennaio, i principi fondamentali alla base di approcci di investimento sostenibili e più duraturi restano immutati. In particolare individuerei cinque elementi che rimangono ad oggi inalterati.
In primo luogo, i cambiamenti fisici del nostro sistema planetario rimangono radicati come sempre. Almeno sette dei nove confini planetari sono stati superati, le temperature globali hanno superato 1,5°C nel 2024, e il ritardo nell’adozione di azioni concordate e decise aumenta solo la probabilità di interventi più drastici in futuro.
Tali sfide, in realtà, sono ben noti e ormai compresi dalle industrie finanziarie, meglio di molte altre. Gli ultimi scenari della Network for Greening the Financial System (NGFS) confermano ancora una volta la superiorità economica di un’azione concordata e di una transizione precoce, in termini di impatto sul PIL, inflazione e riduzione dei danni.
Il punto di arrivo della transizione, e la necessità di raggiungerlo, resta chiaro come sempre. Qualsiasi scenario climatico – che miri a 1,5°C, 2°C o 3°C – per evitare un impatto climatico crescente deve inevitabilmente gravitare verso il net zero. Questo consentirà la stabilizzazione delle temperature e un esito positivo per la natura, con quest’ultima come fattore chiave della produzione.
Resta poi assodato che le trasformazioni economiche sono guidate da costo, efficienza e innovazione. Come dimostrato dalla serie di fallimenti delle aziende produttrici di energia a carbone durante l’ultima amministrazione Trump, la transizione verso un’economia rinnovabile ed elettrificata è inarrestabile, poiché i costi livellati dell’energia fossile non possono competere con il continuo calo dei costi dell’energia solare e dei sistemi di energia flessibile.
Infine, la transizione economica non consiste nel fare le stesse cose in modo più ecologico. Prendendo l’esempio della mobilità, la transizione include l’elettrificazione ma anche un cambiamento nei flussi di profitto, che si spostano da petrolio e gas, industrie pesanti e assicurazioni, verso tecnologia, sistemi energetici e piattaforme di gestione delle flotte. La sostenibilità non riguarda solo la responsabilità aziendale, ma il posizionamento strategico, poiché i nuovi sistemi economici superano quelli esistenti.
Ma sembra che questi elementi non bastino per spingere gli investitori verso scelte sostenibili. Coma mai?
Le convinzioni sopra descritte, pur offrendo conforto agli investitori, richiedono alcuni aggiustamenti. Bisogna evolvere affinchè siano adottati approcci più sofisticati e meno semplicistici rispetto ad ora. Alcune cose devono cambiare.
Per esempio, dobbiamo imparare la differenza tra decarbonizzazione reale e su carta. Quando l’economia nel suo complesso è lenta a trasformarsi, i portafogli non possono decarbonizzarsi senza rendersi irrilevanti. Convogliare tutti i 130 trilioni di dollari associati a GFANZ verso la manciata di aziende che seguono percorsi credibili allineati a 1,5°C non è né possibile né desiderabile se ignora i problemi presenti nel resto dell’economia.
Gli impegni per il net zero, poi, necessitano di una revisione fondamentale. Infatti, gli obiettivi di decarbonizzazione, seppure con tutte le buone intenzioni, sono condizionati dai progressi in ambito politico, tecnologico, di costo del capitale e maturità di mercato. Quindi potrebbero semplicemente distrarre da quegli ambiti in cui i gestori patrimoniali hanno effettivamente margine di azione – per esempio, il coinvolgimento diretto, l’innovazione di prodotto e l’integrazione della sostenibilità nell’analisi finanziaria.
Inoltre, bisogna smettere di pensare che la sostenibilità possa veramente continuare a riguardare solo la cleantech o l’ambiente. Gli investitori devono ampliare il proprio campo d’azione per individuare le opportunità più attraenti. Per esempio, la nuova amministrazione Trump potrebbe non essere favorevole alle turbine eoliche, ma potrebbe supportare sistemi sanitari preventivi, azioni sulle linee guida dietetiche e sui cibi ultra-processati, guida autonoma, rilocalizzazione industriale e abilitazione digitale.
Infine, bisogna comprendere che i portafogli multi-tematici offrono un’esposizione più diversificata ai grandi cambiamenti sistemici della nostra economia. I temi definiti in modo ristretto non sono per i deboli di cuore, dato che la maggior parte delle attività si è verificata in porzioni diverse del mercato. Gli approcci multi-tematici offrono un mezzo per navigare e allocare il capitale in modo più fluido, man mano che l’attrattiva dei temi sottostanti evolve.
In cosa hanno sbagliato le coalizioni per il clima?
Non hanno sbagliato, le defezioni seguono un’ondata anti-ESG sul fronte politico. Difficile agire in tal senso da sole. Senza dubbio però, credo che il ruolo delle grandi coalizioni potrebbe risiedere meno nel fissare obiettivi e più nella comunicazione ponderata. E da questo punto di vista la ricerca di un nuovo assetto per NZAM potrebbe rivelarsi tempestiva. L’industria finanziaria dovrebbe essere un alleato naturale del movimento ambientalista, ma è necessario affrontare conversazioni difficili su come indirizzare gli investimenti dove sono più necessari, il ruolo dei combustibili fossili in una transizione più lenta del previsto e come gestire i costi disomogenei dei danni climatici.
Quindi cosa prevede per i prossimi mesi?
Con l’inizio del World Economic Forum di Davos e della nuova amministrazione Trump, gli investitori si stanno rendendo conto che il percorso verso la transizione difficilmente somiglierà alla traiettoria lineare che i modelli di transizione eccessivamente stilizzati potrebbero suggerire.
Da Lombard Odier, il nostro mantra è da tempo “ripensare tutto”. Nel 2025, riteniamo che questo debba includere anche gli approcci agli investimenti sostenibili, che dovrebbero rimanere centrali per gli investitori orientati al futuro come mai prima d’ora. Riteniamo che l’obiettivo finale dell’economia sarà un sistema net zero, positivo per la natura, socialmente costruttivo e digitalmente abilitato. Le opportunità rimangono più varie che mai.