Osservatorio Climate Finance Polimi

PoliMi: a che punto sono i mercati finanziari nella loro risposta al cambiamento climatico

Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti, soprattutto in questo momento dell’anno in cui assistiamo ad ondate di calore sempre più intense e persistenti, nonché a disastri “naturali” come il recente e terribile crollo del bocco di ghiaccio della Marmolada. L’azione collettiva, quindi, è urgente e necessaria più che mai e, secondo l’Osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano (PoliMi), la finanza svolge un ruolo fondamentale come attore protagonista e forza trainante nel processo verso la transizione energetica. 

L’importanza di analizzare e misurare i rischi climatici è stata al centro del Convegno annuale 2022 organizzato dall’Osservatorio, in cui è emersa anche l’importanza di considerare l’impatto dei cambiamenti climatici non solo da un punto di vista macro, ma anche sul piano micro, che tuttavia non è ancora provvisto di dati ed evidenze scientifiche adeguati. 

“L’Osservatorio svolge principalmente quattro tipi di attività. La ricerca, che quest’anno si è concentrata soprattutto sui rischi di transizione delle imprese, lo sviluppo di un network, la condivisione della conoscenza e la comunicazione dei risultati per aumentare la percezione dell’importanza delle analisi quantitative su questi temi”, ha dichiarato Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio Climate Finance del PoliMi.

Il ruolo degli asset manager nella gestione dei rischi climatici

L’impatto dei mercati finanziari per favorire un percorso di transizione è sempre più evidente. In questo contesto, il ruolo degli asset manager come acceleratori nel processo di transizione è sicuramente fondamentale. E questo è ancora più vero nel caso della società di gestione leader globale, la statunitense BlackRock. “Il punto centrale è che BlackRock, in qualità di investitore globale con oltre 10.000 miliardi di AuM gestiti di cui gran parte legati alla previdenza, guarda necessariamente all’impatto a lungo termine. Già da qualche anno, quindi, abbiamo iniziato a parlare di rischio climatico come rischio di investimento. Per noi investitori la transizione è un’opportunità di investimento storica”, commenta Giovanni Sandri, Country Head di BlackRock Italia.

“La transizione energetica è già partita, il punto è come portarla avanti”, sottolinea il Country Head. “La risposta è complessa. La transizione energetica, infatti, porta con sé un trade off: da un lato c’è l’esigenza di muoversi velocemente, dall’altro la necessità di seguire la cosiddetta just transition, ovvero una transizione che non abbia un impatto troppo alto, soprattutto sulle fasce di popolazione più deboli dal punto di vista economico. Questo rende la nostra attività di investitori più sfidante”. 

Secondo Sandri, inoltre, la transizione è di per sé un processo discontinuo (e lo è ancora di più dopo la guerra) perché è strutturalmente inflattiva. “Tuttavia, secondo noi la transizione vedrà un’accelerazione, per due motivi: perché è politicamente sempre più rilevante, soprattutto per l’Europa che vede il passaggio alle rinnovabili come un fattore ancora più necessario dovendosi rendere indipendente dall’approvvigionamento russo; e perché l’innovazione non si arresta, ci sono tantissime iniziative che stanno partendo, anche se non esiste ancora un’unica tecnologia per essere Net Zero”, aggiunge l’esperto di BlackRock. 

Le società di gestione, in questo momento storico, devono puntare non solo sulle aziende green – che sono già virtuose in termini di impatto sul cambiamento climatico – ma piuttosto devono guardare anche le realtà che si trovano ancora in fasi embrionali ma che potranno contribuire all’innovazione e i settori carbon intensive. “Investire in aziende che emettono parecchia CO2 può sembrare un controsenso, ma per decenni vivremo in una condizione di mix energetico. Non può avvenire immediatamente il passaggio totale alle rinnovabili e inoltre le aziende carbon intensive che stanno sviluppando strategie chiave avranno un ruolo fondamentale nel guidare la transizione”, spiega Sandri.

L’informazione, la trasparenza e la comunicazione sono decisive per capire che direzione hanno intrapreso le aziende. Per questo, l’accuratezza dei dati e l’uniformazione della regolamentazione giuridica sono fondamentali. 

“C’è un ecosistema che si sta sviluppando molto velocemente, negli ultimi anni, sono nate diverse start up che si concentrano sui rating ESG, la sostenibilità e i dati. La tecnologia è fondamentale per sviluppare sintesi sempre più precise e indicatori perfezionati, nonché per integrare le metriche ESG nei processi di investimento tradizionali. Inoltre, iniziative degli enti regolatori come la SFDR cercano di creare regole comuni per tutti”, commenta il Country Head di BlackRock Italia. 

L’aggiornamento normativo

Proprio perché di estrema importanza ma anche complessità per via dell’evoluzione continua che la contraddistingue, anche la normativa sulla finanza sostenibile è al centro degli studi dell’Osservatorio del PoliMi. “Vi sono due tipologie di normative che si stanno delineando”, spiega Jonathan Tagliatela, ricercatore senior dell’Osservatorio Climate Finance. “Gli standard di rendicontazione e la definizione dei rischi climatici nelle istituzioni finanziarie”. 

Come evidenzia l’analista del PoliMi, gli standard di rendicontazione sono portati avanti da tre autorità principali: la SEC (Securities and Exchange Commission) degli Stati Uniti, l’ISSB (International Sustainability Standards Board) e l’EFRAG (European Financial Reporting Advisory). 

Fonte: Osservatorio Climate Finance, Polimi. 

Come sottolinea Tagliatela, vi sono divergenze e punti di contatto tra i sistemi proposti dai tre enti regolatori:

  • Convergenze: tutte e tre le proposte sono fortemente ispirate al framework TFCD (Task Force on Climate-Related Financial Disclosures); tutte e tre le proposte richiedono Scope 1 e Scope 2; l’audit di terze parti è sempre previsto; per tutti i framework, il 2024 è il primo anno per cui si dovranno rendicontare i dati riferiti al 2023. 
  • Divergenze: l’ISSB ha introdotto requisiti addizionali rispetto al TCFD; la SEC ha potere legislativo, mentre l’EFRAG propone alla Commissione UE e l’adesione all’ISSB è del tutto volontaria; la SEC richiede le emissioni Scope 3 solo se materiali; le proposte della SEC sono limitate al cambiamento climatico. 

Per quanto riguarda i rischi climatici nelle istituzioni finanziarie, invece, le autorità prese in esame dall’Osservatorio sono l’EBA (European Banking Authority), l’EFRAG e la BCE (Banca Centrale Europea). La novità più dirompente del 2022 è quella portata dalla BCE rispetto agli stress test sui rischi climatici. I primi risultati degli stress test sono stati resi pubblici a inizio luglio e hanno rilevato che ci sono ancora molti passi da compiere: 60% delle banche, infatti, non dispone ancora di un quadro di stress test sul rischio climaticoe la maggior parte di loro non include il rischio climatico nei propri modelli di rischio di credito.

Fonte: Osservatorio Climate Finance, Polimi. 
L’approccio delle imprese alla gestione dei rischi climatici 

Secondo l’analisi dell’Osservatorio le imprese (quotate) reputano di avere un approccio attivo alla gestione del rischio climatico. “Un’impresa su due dice di avere un approccio responsabile legato al cambiamento climatico. Queste aziende che hanno un atteggiamento responsabile tengono in alta considerazione il rischio reputazionale che deriva dalla mancanza dell’assolvimento degli obiettivi e delle strategie di sostenibilità”, spiega Vincenzo Butticè, vicedirettore Osservatorio Climate Finance del PoliMi. 

Fonte: Osservatorio Climate Finance, Polimi. 
Gli investitori istituzionali e la gestione dei rischi climatici

Infine, come sottolineano i ricercatori dell’Osservatorio del PoliMi, tra i vari attori finanziari, anche gli investitori istituzionali ripongono particolare attenzione ai rischi climatici. 

“Noi di Arpinge gestiamo fondi permanent capital (strategia che consente periodi di investimento più lunghi rispetto ai fondi tradizionali, generando dividendi consistenti a lungo termine, ndr), quindi sviluppiamo strategie di lungo termine. Per questo, siamo fortemente favorevoli all’adozione di politiche di gestione dei rischi climatici e ambientali, che riguardano tipicamente il lungo periodo”, afferma Federico Merola, amministratore delegato di Arpinge, società d’investimento istituzionale che opera nel settore delle infrastrutture e in alcune categorie d’immobiliare.

“Inoltre, i nostri investitori istituzionali sono tutti sottoscrittori dei PRI (Principles for Responsible Investment) delle Nazioni Unite e, pertanto, particolarmente sensibili alle tematiche ESG”, aggiunge Merola. “Il nostro fine ultimo è quello di costruire per un investitore previdenziale long term un portafoglio diversificato e resiliente”, conclude l’amministratore delegato di Arpinge.