Emissioni azienda

Newclimate Institute

Obiettivo “Net-Zero”: gli impegni climatici sono affidabili?

Un nuovo studio boccia le promesse climatiche di 25 grandi gruppi impegnati verso Net Zero. Secondo l’analisi i piani annunciati prevedono una riduzione delle emissioni, in media, del 40% e non del 100% come suggerito dalle loro affermazioni “emissioni nette zero” e/o “neutralità carbonica”.

Il report, pubblicato sul Corporate Climate Responsibility Monitor e condotta dal Newclimate Institute in collaborazione con Carbon Market Watch, rivela infatti che gli impegni per raggiungere la neutralità carbonica, esplicitati ormai dalla maggioranza delle principali aziende internazionali, non contribuiscono realmente a raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero al 2030 come dichiarato. Sotto accusa soprattutto l’abbondante ricorso alla pratica della compensazione, anziché una vera riduzione delle emissioni, pratica sulla cui efficacia non c’è un completo accordo soprattutto per quanto riguarda l’analisi dei singoli progetti di offsetting.

Dal report emerge, però, che solo 3 tra le 25 società esaminate (Maersk, Vodafone e Deutsche Telekom) si impegnano in modo chiaro a una decarbonizzazione profonda di oltre il 90% delle loro emissioni lungo tutta la propria catena del valore. 5 tra le 25, invece, si impegna a ridurre le proprie emissioni solo di meno del 15%, spesso escludendo le emissioni a monte o a valle, mentre le 13 aziende che forniscono dettagli specifici sul significato dei loro impegni (non tutte le società incluse nello studio, infatti, accompagnano i loro impegni principali con riferimenti ad azioni concrete e specifiche di riduzione delle emissioni) in realtà riguarda solo una parte della propria catena del valore, e quindi a una riduzione in media del 40% delle proprie emissioni.

Nel mirino ci sono grandi gruppi come Nestlé o Carrefour, che hanno ricevuto un giudizio basso (“very low”) sia sotto il profile della trasparenza sia sotto quello dell’integrità del piano, mentre l’italiana Enel se l’è cavata meglio ricevendo un giudizio di “moderato sul fronte della trasparenza e “low” su quello dell’integrità dei propri progetti. Nel piano strategico 2022-24 il gruppo guidato da Francesco Starace ha anticipato l’obiettivo Net Zero al 2040 dal precedente 2050. Nel piano Enel ha precisato che “il suo posizionamento previsto nel 2030 consentono di anticipare di 10 anni l’impegno “Net Zero”, dal 2050 al 2040, sia per le emissioni dirette sia per quelle indirette, senza ricorrere ad alcuna misura di offsetting, come tecnologie di rimozione della CO2 o soluzioni nature- based. Il Gruppo prevede di abbandonare la generazione a carbone entro il 2027 e quella a gas entro il 2040, sostituendo il portafoglio termoelettrico con nuova capacità rinnovabile oltre ad avvalersi dell’ibridazione delle rinnovabili con soluzioni di accumulo. Inoltre, si prevede che entro il 2040 l’elettricità venduta dal Gruppo sarà interamente prodotta da rinnovabili ed entro lo stesso anno il Gruppo uscirà dall’attività di vendita retail di gas“.

Lo studio sottolinea come le società analizzate non abbiano posto sufficente attenzione sulle emissioni Scope 3, cioé quelle indirette che riguardano la catena produttiva, che rappresentano in media l’87% delle emissioni totali per le 25 società valutate nello studio. Solo 8 hanno rivelato un livello moderato di dettaglio sui loro piani per affrontare tali emissioni. Ciò che lo studio evidenzia, per esempio, è che una azienda come E.ON escluda le emissioni provenienti da segmenti di mercato che rappresentano oltre il 40% delle sue vendite di energia; oppure che Carrefour escluda le località che rappresentano oltre l’80% dei negozi a marchio Carrefour.

Anche i metodi per effettuare la compensazione sono passati allo scrutinio dallo studio che sottolinea come 24 su 25 aziende, infatti, sembrano basarsi sui crediti di compensazione di diverso tipo, la cui validità è però oggetto di dibattito. Almeno due terzi delle imprese, invece, si affida alla piantumazione di alberi e ad altre attività biologiche, che possono essere facilmente invertite, nel primo caso ad esempio, da un incendio boschivo.

Lo studio ha acceso il dibattito sulle metodologie di calcolo e valutazione delle affermazioni riguardo la neutralità carbonica. Molte delle aziende incluse nello studio hanno contestato i risultati sostenendo che i loro impegni sono in linea con gli standard accettati globalmente, come quelli CDP (Carbon Disclosure Project) e SBTi (Science Based Targets initiative). Ma lo studio solleva alcune critiche sulle metodologie adottate. Per esempio, l’analisi contesta l’attribuzione di compatibilità con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, attribuita dall’SBTi a 16 delle 25 aziende esaminate. A tali affermazioni, l’associazione ha risposto che le differenti conclusioni deriverebbero sia dal differente anno base preso in considerazione sia dalla valutazione delle emissioni Scope 3, ma ha aggiunto che, accogliendo le osservazioni proposte, si impegna a rivedere i confini e le inclusioni legate alle emissioni Scope 3 e aggiornare la propria metodologia entro la fine dell’anno.

“La pubblicità fuorviante da parte delle aziende ha un impatto concreto sui consumatori e sui politici. Siamo spinti a credere che queste aziende stanno prendendo misure sufficienti, quando la realtà è lontana da ciò” ha dichiarato Gilles Dufrasne di Carbon Market Watch. “Senza regolamentazione precisa, questo trend tenderà a continuare. Abbiamo bisogno che i governi e gli organismi di regolamentazione si intensifichino e mettano fine a questa tendenza al greenwashing“.

Di seguito si propongono i risultati del report in termini di integrità con i propri impegni climatici delle 25 aziende analizzate.