Per raggiungere la piena decarbonizzazione al 2050 nei settori hard-to-abate industriali, quelli cioè più difficili da decarbonizzare come siderurgia, chimica, ceramica, carta, vetro e cemento, in Italia occorrerebbe una spesa variabile tra i 30 e gli 80 miliardi di euro per l’acquisto delle tecnologie abilitanti e i relativi costi operativi, in base all’evoluzione tecnologica attesa e ai prezzi delle commodity, tra cui l’elettricità e il vettore idrogeno nella sua forma meno emissiva. Tuttavia, in assenza di provvedimenti normativi addizionali ad hoc, si arriverà a una riduzione emissiva di appena il 54% rispetto al 2020, molto lontano dall’obiettivo net zero. Tecnologia e innovazione giocano un ruolo da protagonisti nell’alimentare la trasformazione energetica globale, ma per implementarle è necessario valutare l’introduzione di incentivi economici che ne rendano sostenibili gli investimenti per le aziende.
Proprio a queste tematiche è dedicata la prima edizione dell’Osservatorio Zero Carbon Technology Pathways, realizzato da Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, e presentato insieme alle aziende partner della ricerca, che ha identificato 115 soluzioni tecnologiche rilevanti per il cambio di paradigma, evidenziando il loro diverso livello di maturità e di potenziale impatto in termini di decarbonizzazione e sottolineandone la complementarità.
“Le emissioni di gas serra in Europa sono in lenta ma continua diminuzione, grazie all’aumento della quota di fonti rinnovabili impiegate per la generazione di energia e alla costante decrescita dei consumi energetici. Anche l’Italia ha intrapreso un percorso di decarbonizzazione dai primi anni 2000 raggiungendo un progressivo disaccoppiamento tra PIL ed emissioni di gas climalteranti, ma non è sufficiente”, ha commentato Simone Franzò, responsabile della ricerca, “Occorre sviluppare e mettere sul mercato differenti tecnologie a ridotto o nullo impatto ambientale che possano trovare applicazione nei contesti industriali più difficili da decarbonizzare”.
Franzò ha poi ricordato che “il principio di neutralità tecnologica e la complementarità delle differenti soluzioni sono indispensabili per il successo di questa transizione e il modo in cui le imprese le porteranno a mercato, ossia il modello di business, sarà determinante. In particolare, nei settori industriali hard-to-abate sono i biocombustibili, l’idrogeno, l’elettrificazione e la CCS (Carbon Capture and Storage) a rappresentare delle valide alternative per ridurre le emissioni. Ma il raggiungimento degli obiettivi richiede anche un cambiamento profondo dei modelli di consumo e la definizione di un quadro normativo-regolatorio chiaro e duraturo, in grado di fornire gli strumenti adeguati alle aziende e agli operatori per abbandonare processi e strumenti noti e radicati e iniziare una transizione di dimensioni epocali: vanno mitigate ed eliminate le barriere che oggi ostacolano il percorso”.
A livello normativo, l’UE ha incrementato gli sforzi per raggiungere gli obiettivi 2030 e 2050 con l’istituzione del CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), il nuovo strumento per dare un prezzo alle emissioni di carbonio incorporate nelle merci importate, così da assicurare che i costi per i prodotti interni e per i prodotti extra-UE siano equivalenti, a integrazione dell’EU ETS, il sistema di scambio delle emissioni. Inoltre, ha esteso la rendicontazione di sostenibilità introdotta dalla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) a una platea più vasta di soggetti, quali le grandi imprese UE che attualmente non redigono la Dichiarazione Non Finanziaria, le PMI quotate e alcune categorie di imprese extra-UE che operano sul territorio europeo, in stretta connessione con la Tassonomia UE, e ha introdotto per la prima volta un sistema univoco di standard per la rendicontazione di sostenibilità (European Sustainability Reporting Standards – ESRS).
In Italia, lo sforzo per la decarbonizzazione si avvale di due strumenti principali: il PNRR e il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), la cui proposta di aggiornamento è stata sottoposta alla Commissione Europea nel giugno 2023. Sia il PNRR attuale che la revisione approvata dalla Commissione nel novembre 2023 prevedono investimenti e riforme su tre delle quattro direttrici tecnologiche analizzate nel report del Poli (idrogeno, biocombustibili, ed elettrificazione che conquista il 21,2% delle risorse), mentre non include misure in materia di Carbon Capture and Storage (CCS). L’aggiornamento del PNIEC, che in generale contempla una revisione al rialzo dei target al 2030, prevede invece il ricorso alla CCS per i settori hard-to-abate e punta su rinnovabili elettriche, idrogeno e biometano.
Indice
Il ruolo primario dell’innovazione tecnologica nei settori hard to abate
L’innovazione tecnologica è il motore che alimenta la trasformazione energetica globale verso un futuro a basse emissioni, ma non basta introdurre cambiamenti nei modi di produzione dell’energia, occorre anche intervenire sui modelli di consumo. La presenza di numerose alternative tecnologiche, tra loro diverse e caratterizzate da un differente grado di maturità, rende necessario sviluppare simultaneamente varie soluzioni negli step della filiera. Idrogeno, biocombustibili ed elettricità come alternative ai fossili tradizionali, e sistemi di stoccaggio di CO2 per la rimozione delle emissioni atmosferiche, sono le quattro direttrici tecnologiche analizzate nel report, che prende in esame 115 tecnologie, 46 dedicate alla produzione energetica decarbonizzata e 60 all’utilizzo di vettori energetici (39 in ambito industriale), più 9 sistemi CCS alternativi.
Le direttrici tecnologiche per la produzione di energia elettrica e di idrogeno sono già oggi mediamente consolidate, viceversa una maggiore attenzione andrà rivolta alle tecnologie di consumo, dove la limitata maturità, soprattutto infrastrutturale, ne rallenta l’adozione: la rete elettrica dovrà infatti garantire la propria stabilità, sicurezza ed efficienza di gestione a fronte di un’attesa elettrificazione massiva degli usi finali e di una generazione intermittente da fonti rinnovabili; al contempo, la rete del gas dovrà adeguarsi per essere hydrogen-ready, ossia in grado di accogliere volumi crescenti di idrogeno (mentre sistemi full-hydrogen sono al momento ostacolati dalla scarsa maturità tecnologica e dalla necessità di sostituire completamente i macchinari utilizzati nei diversi settori industriali). Per quanto riguarda i biocombustibili e la CCS, le complessità di filiera e la limitata fattibilità tecno-economica ne riducono il potenziale impatto futuro.
La decarbonizzazione dei settori hard-to-abate: la prospettiva degli utilizzatori finali
La prospettiva degli utilizzatori finali è emersa da una survey a cui hanno risposto oltre 400 imprese e da un workshop con gli operatori dei settori hard-to-abate. Come immaginabile, sia i driver che le barriere più rilevanti verso la realizzazione degli interventi di decarbonizzazione appartengono alle sfere economico-finanziaria e normativa. Risulta difficile infatti realizzare interventi risolutivi senza strumenti incentivanti che permettano di ottenere un risparmio sui costi operativi, a fronte di investimenti molto onerosi, e dal confronto con gli operatori emerge un’esigenza di semplificazione del quadro normativo-regolatorio, attraverso una programmazione di lungo periodo che attribuisca agli obiettivi di decarbonizzazione un’importanza prioritaria e che preveda lo sviluppo di competenze green in azienda. Le più sensibili a questi temi risultano le grandi aziende e vanno considerate alcune specificità proprie dei singoli settori: nel metallurgico e nella carta riveste particolare rilievo l’aspetto tecnologico, mentre nella raffinazione hanno più peso gli aspetti organizzativi e nella chimica la filiera.
L’evoluzione del modello di business delle ESCo
Le ESCo (Energy Service Company) si stanno attrezzando per cogliere le opportunità connesse alla decarbonizzazione. Le risorse umane resteranno l’asset più importante, ma difficilmente reperibile anche nel prossimo futuro, considerando che le competenze dovranno svilupparsi in particolare dal punto di vista tecnico e commerciale, ad esempio verso temi legati alla sostenibilità (ESG) e alla digitalizzazione (AI). È chiaro che presto si dovranno includere nel portfolio tecnologico soluzioni emergenti quali idrogeno e cattura della CO2, oltre ai sistemi di storage: la vera sfida sarà capire quando offrire servizi innovativi, garantendo al cliente sia la necessaria affidabilità tecnica che la sostenibilità economica. Dal confronto con un campione di ESCo attive nel settore industriale emerge che l’offerta attuale è focalizzata su interventi di efficienza energetica per impianti ausiliari al processo produttivo (62% degli intervistati). Dal punto di vista tecnologico, prevalgono le soluzioni per l’elettrificazione dei consumi finali (rinnovabili e tecnologie di generazione in loco), mentre le modalità contrattuali più tipiche sono l’EPC (Energy Performance Contract) con rischio in carico al fornitore e i contratti chiavi in mano.
L’evoluzione delle tipologie di servizi offerti dalle ESCo dal punto di vista tecnologico: nei prossimi 2 anni si prevede la prosecuzione dei trend di crescita delle rinnovabili e dell’elettrificazione dei consumi, nei prossimi 3-5 anni si potranno includere le tecnologie di stoccaggio energetico e i biocombustibili, mentre ai servizi relativi all’idrogeno low-carbon e alla cattura di CO2 si arriverà nei prossimi 10 anni
Ampliamento del portfolio clienti delle ESCo verso le PMI
Oggi le grandi imprese del settore industriale sono i principali clienti (67% in media) del campione di ESCo intervistate, fino ad arrivare a oltre l’80% per circa metà degli operatori sentiti (per 4 su 10 coprono più dell’80% del fatturato). Nel futuro si prevede un necessario ampliamento del portfolio clienti verso le PMI, perché per raggiungere il net zero si dovranno ridurre le emissioni del tessuto industriale italiano che è composto prevalentemente da imprese medie, piccole e piccolissime, che potrebbero vedere nella decarbonizzazione un fattore per garantirsi un migliore accesso al credito. In secondo luogo, le PMI quotate saranno investite dagli obblighi della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) che implicheranno una maggiore attenzione ai temi green e all’efficienza energetica.