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Risultati stress test clima

BCE: con transizione più rapida, meno rischi finanziari per imprese, famiglie e banche

La mancata accelerazione della transizione verso modelli economici sostenibili non risparmierebbe nessuno. Da un lato, infatti, aumenterebbe i costi di medio periodo per famiglie e imprese e ridurrebbe la redditività delle aziende e il potere d’acquisto degli individui, dall’altro accrescerebbe il rischio di credito per le banche. Per non parlare del fatto che un ulteriore ritardo nella transizione significherebbe non raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e aggravare l’impatto di costosi rischi fisici. Sono questi i principali risultati del secondo stress test climatico pubblicato dalla Banca Centrale Europea (BCE), che fa seguito al primo diffuso nel settembre 2021. 

Secondo l’istituto finanziario, dunque, il modo migliore per raggiungere un’economia a zero emissioni nette per le imprese, le famiglie e le banche nell’area dell’euro è accelerare la transizione verde verso un tasso più rapido rispetto alle politiche attuali. E’ questa la strada da seguire secondo Francoforte per garantire maggiore stabilità finanziaria riducendo i rischi fisici, che significano maggiori costi, per famiglie, imprese, banche e istituzioni. In ogni caso la BCE stima che il processo di transizione richieda ingenti investimenti dai 2.500 ai 3.200 miliardi considerati nei modelli.

Lo stress test analizza la resilienza di imprese, famiglie e banche in tre scenari di transizione che differiscono in termini di tempi e ambizione. Il primo scenario è quello di una “transizione accelerata” che favorisce politiche e investimenti green, portando a una riduzione delle emissioni entro il 2030 in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Il secondo, una “transizione late-push”, continua sul percorso attuale e non prevede un’accelerazione del processo fino al 2026 (ma è ancora abbastanza efficace da raggiungere riduzioni delle emissioni allineate a Parigi entro il 2030). Infine, una “transizione ritardata”, che inizierà anch’essa solo nel 2026, ma non è sufficientemente ambiziosa per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi entro il 2030. Alla fine, sottolinea la BCE, in tutti gli scenari l’economia e il sistema finanziario dell’area dell’euro passano alla neutralità del carbonio, ma con differenze sostanziali nella tempestività della transizione e nella riduzione delle emissioni. 

I tre scenari

Nel primo scenario, quello di una transizione accelerata, la BCE ipotizza che l’invasione russa dell’Ucraina e il perdurare del conflitto che ha alzato i costi delle fonti energetiche fossili, spingano le aziende europee verso un cambiamento immediato. I prezzi elevati dei combustibili fossili all’inizio del periodo costituirebbero un incentivo per le aziende a effettuare una transizione rapida. I flussi di finanziamento sarebbero elevati, soprattutto all’inizio, e compatibili con la necessità di accelerare il processo di transizione. Le emissioni, così, diminuirebbero del 67% nel 2030 rispetto ai livelli del 1990, in linea con lo scenario NGFS (Network for Greening the Financial System) “net zero entro il 2050”.

Nel secondo scenario, che prevede una transizione late-push, le misure volte a contenere la crisi energetica porterebbero solo a lievi riduzioni dell’intensità di carbonio dei sistemi energetici nei prossimi tre anni. La “vera” transizione, quindi, inizierebbe più tardi – intorno al 2026 – e con un’economia più debole. Tuttavia, si presuppone che l’impegno sia sufficientemente intenso da raggiungere entro il 2030 riduzioni delle emissioni paragonabili a quelle previste nello scenario di transizione accelerata. Affinché ciò accada, sarà necessaria un’azione decisa e forte in una fase successiva. I prezzi dei combustibili fossili rimarrebbero elevati, ma comunque inferiori a quelli del periodo prima del 2026, e aumenterebbero in modo più evidente in seguito. I flussi di finanziamento, invece, sarebbero molto elevati e concentrati principalmente nel periodo 2025-2030.

Nel terzo e ultimo scenario, quello di una transizione ritardata e più blanda, la BCE ipotizza sempre un inizio della transizione intorno al 2026. Tuttavia, a differenza della transizione late-push, si presume che il cambiamento non sarebbe sufficientemente intenso per ritornare al percorso ottimale descritto dallo scenario “net zero entro il 2050” di NGFS, compatibile con l’obiettivo di +1,5° C al di sopra delle medie preindustriali entro il 2100. Pertanto, i prezzi dei combustibili fossili continuerebbero a essere elevati prima dell’inizio della transizione e aumenterebbero più lentamente in seguito, mentre i flussi di finanziamento necessari per attuare una transizione efficace sarebbero leggermente inferiori.

I tre potenziali percorsi di transizione della BCE

Fonte: BCE.

Impatti sulle imprese

Nell’analisi, la BCE parte dalla valutazione dell’impatto dei tre percorsi di transizione sui bilanci delle imprese e sulle probabilità di default. Secondo i risultati dello stress test climatico, in tutti gli scenari e nel breve termine, il rischio di transizione avrebbe un impatto sulla redditività delle imprese attraverso uno shock dei prezzi energetici dal lato dell’offerta, che farebbe schizzare i costi di produzione e le spese operative delle aziende. Tuttavia, le società non sarebbero interessate dalla transizione in ugual modo, ma a livelli differenti a seconda del loro mix energetico e dal loro consumo di energia “brown” (non pulita) e di elettricità. I più penalizzati sarebbero i settori che dipendono fortemente dalle fonti energetiche non sostenibili, in particolare le aziende ad alta intensità energetica, colpiti da un aumento maggiore delle spese energetiche e delle spese operative, a seguito degli shock dei prezzi del gas e del petrolio. 

Nel breve periodo, però, il processo di transizione verrebbe in aiuto anche delle aziende più in difficoltà, in tutti gli scenari. Dato che la quota di energie rinnovabili nell’input energetico crescerebbe progressivamente, le aziende sarebbero in grado di compensare gradualmente l’aumento dei costi operativi indotto dall’energia riducendo contemporaneamente la propria impronta di carbonio. Allo stesso tempo, l’aumento dei prezzi dell’energia e le preoccupazioni relative al cambiamento climatico fornirebbero un incentivo a investire in attività di mitigazione del carbonio e in energie rinnovabili. 

Un’altra tendenza ipotizzata dalla BCE che interesserebbe le aziende nei tre scenari è legata al fatto che la capacità di energia rinnovabile dell’economia dovrebbe aumentare per soddisfare la maggiore domanda di energia non inquinante. Pertanto, gli investimenti nelle energie rinnovabili verrebbero effettuati principalmente dal settore elettrico per soddisfare la maggiore domanda di energia verde di altri settori, presupponendo che l’energia rinnovabile venga poi distribuita alle imprese sotto forma di elettricità acquistata. 

Un aspetto chiave della transizione verso un’economia a zero emissioni messo in luce nell’analisi sarebbe la graduale eliminazione della produzione di carbone gas, che creerebbe inevitabilmente “vincitori” e “vinti” nella transizione. Da un lato, i fornitori di energia rinnovabile, sarebbero i maggiori vincitori a lungo termine della transizione energetica. Dall’altro, invece, i fornitori di energia “brown”, come le compagnie petrolifere, del carbone e del gas, cambierebbero completamente i loro modelli di business o affronterebbero un deterioramento della redditività a causa della minore domanda di energia non pulita, con conseguenti minori ricavi per le aziende interessate.

Per quanto riguarda le spese energetiche, l’aumento dei prezzi dei combustibili fossile e dell’elettricità causato dalla transizione comporterebbe cambiamenti sostanziali per le aziende. Se nel breve termine le spese per l’energia delle aziende aumenterebbero perché non è possibile un passaggio repentino alle rinnovabili, dall’altro le imprese aumenterebbero la propria efficienza energetica nel medio e lungo periodo facendo gradualmente meno affidamento sulle fonti energetiche non pulite (divenute più costose). Di conseguenza, la quota relativa di energia rinnovabile nel mix energetico delle imprese aumenterebbe sostanzialmente, da circa il 10% nel 2022 al 30-40% nel 2030. In particolare, l’intensità dell’energia “brown” diminuirebbe del 60% nello scenario di transizione ritardata e dell’80% negli scenari di transizione accelerata e tardiva. 

Col tempo le imprese diventerebbero meno energivore

Fonte: elaborazioni BCE su dati Orbis, Urgentem, Eurostat e NGFS. Note: i riquadri a e b escludono le imprese elettriche. L’intensità dell’energia “brown” è definita come il consumo annuo totale di fonti di energia non pulita in GwH rispetto ai ricavi annuali totali. L’energia non pulita comprende l’energia derivante dal petrolio, dal gas e dal carbone.

Tuttavia, osserva la BCE, nonostante una maggiore efficienza energetica, l’aumento dei prezzi dell’energia comporterebbe un incremento delle spese energetiche delle imprese in proporzione alle spese operative totali, soprattutto nelle prime fasi della transizione, per poi ridursi di nuovo verso la fine del periodo considerato. Allo stesso tempo, la quota delle spese per l’energia elettrica aumenterebbe in tutti gli scenari, soprattutto durante i primi anni di transizione, quando la domanda di elettricità comincerebbe a crescere. I rincari maggiori nelle spese energetiche totali colpirebbero i settori immobiliare, edile, informatico e delle comunicazioni. Chiaramente, l’aumento delle spese avrebbe effetti anche sulla redditività delle società, in particolare nei settori ad alta intensità energetica, come il minerario e il manifatturiero. 

Entro il 2030 i settori ad alta intensità energetica subiranno il maggiore deterioramento della redditività a causa delle maggiori spese energetiche

Fonte: elaborazioni BCE basate su dati Orbis, Urgentem, Eurostat e NGFS. La redditività è definita come l’utile netto (ricavi operativi meno spese operative e finanziarie) al lordo delle imposte sul totale delle attività. ICT sta per il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Infine, dai risultati dell’analisi emerge che, in tutti gli scenari, spese energetiche più elevate spingerebbero le aziende a investire in tecnologie più pulite soprattutto tramite i prestiti bancari. 

Impatti sulle famiglie 

Oltre che sulle imprese, la transizione avrebbe un impatto anche sulle famiglie, con conseguenti ricadute sul settore finanziario. Il segmento degli individui che compongono dei nuclei familiari è importante perché la quota dei prestiti bancari alle famiglie è la maggiore (pari al 40%), seppure con differenze importanti tra i paesi. I rischi di transizione che interessano il settore delle famiglie potrebbero quindi avere implicazioni quantitativamente significative per il sistema bancario, con effetti eterogenei tra i paesi.

Le famiglie costituiscono la quota maggiore dei portafogli prestiti delle banche dell’area euro

Fonte: dati ed elaborazioni della BCE.

I maggiori impatti che la transizione avrebbe sulle famiglie, sottolinea la BCE, riguarderebbero l’efficienza energetica degli edifici, nonché il consumo energetico dei nuclei familiari. Nel 2020 nell’area dell’euro, il riscaldamento degli ambienti e dell’acqua rappresentava oltre il 70% delle emissioni Scope 1 e Scope 2 delle famiglie, mentre gli apparecchi completamente elettrici costituivano il 19% delle emissioni domestiche. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA), circa l’8% delle emissioni globali di gas serra potrebbe essere ridotto attraverso cambiamenti comportamentali. Gli investimenti nel miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici residenziali e degli elettrodomestici ridurrebbero drasticamente le emissioni complessive. Inoltre, l’installazione di pannelli solari sugli edifici nuovi ed esistenti favorirebbe l’elettrificazione e il passaggio alle fonti rinnovabili, diminuendo la domanda di altre fonti energetiche e portando ad una conseguente diminuzione delle emissioni.

Il riscaldamento degli ambienti e dell’acqua rappresenta la maggior parte delle emissioni di gas serra delle famiglie

Fonte: elaborazioni della BCE basate su dati Eurostat e Greenhouse Gas Protocol.

Conscia dell’importanza di un cambiamento nell’efficienza energetica degli edifici per favorire la transizione verso il net zero, la Commissione Europea sta definendo ambiziosi standard nell’ambito del pacchetto “Fit for 55”. In base a tale pacchetto, tutti i nuovi edifici residenziali dovranno avere un certificato di prestazione energetica (EPC) di livello almeno C e tutte le case esistenti dovranno raggiungere almeno il livello D entro il 2033 attraverso la ristrutturazione. Inoltre, gli impianti di energia solare dovrebbero essere installati su tutti i nuovi edifici residenziali entro il 2030. L’efficientamento energetico degli edifici potrebbe però avere dei risvolti sociali negativi, evidenzia la BCE. Il risultato, infatti, potrebbe essere una diminuzione del patrimonio delle famiglie (soprattutto quelle a basso reddito) legata agli eccessivi investimenti che sarebbero chiamate a fare. Le famiglie, quindi, sarebbero obbligate a indebitarsi e potrebbero avere problemi di solvibilità che si potrebbero trasferire sulle banche. 

La riflessione conclusiva della BCE sugli impatti della transizione sulle famiglie è che una transizione rapida e tempestiva sarebbe lo scenario migliore, per diversi motivi. Se nei primi anni i cittadini saranno costretti ad aumentare le spese energetiche per mettere in moto la transizione, dopo il 2025 tali spese si stabilizzerebbero nel contesto della transizione accelerata, mentre aumenterebbero negli altri scenari, a causa dell’aumento dei prezzi dei combustibili fossili e della ancora forte dipendenza da essi. Dulcis in fundo, una maggiore stabilità finanziaria delle famiglie nel lungo periodo comporterebbe anche un minore rischio di credito, un aspetto decisamente rilevante per le banche. 

Impatti sul sistema finanziario 

I canali attraverso i quali il rischio di transizione può trasferirsi al sistema finanziario, spiega la BCE, sono il rischio di credito e il rischio di mercato

Per quanto riguarda il rischio di credito, quello che la BCE osserva è che attualmente una quota sostanziale dei portafogli di prestiti societari delle banche è diretta verso settori ad alta intensità energetica, rendendoli vulnerabili al rischio di transizione. L’esposizione totale dei prestiti garantiti e non garantiti del sistema bancario dell’area dell’euro verso i settori ad alta intensità energetica è pari a circa il 40% del portafoglio totale ed è superiore nel caso degli enti più significativi (42%). Inoltre, il 10% delle banche con la maggiore esposizione verso tali settori è responsabile di un terzo dei prestiti totali nell’area dell’euro. Ciò implica che il rischio di transizione è relativamente concentrato nel sistema bancario dell’area dell’euro, con conseguenti effetti eterogenei per il rischio di credito tra le banche.

L’esposizione ai settori ad alta intensità energetica è concentrata tra le banche

Fonte: calcoli della BCE basati su proiezioni macroeconomiche AnaCredit, Orbis, Urgentem, Eurostat, NGFS, BMPE e dati IRENA (2021). NACE sta per Nomenclatura delle Attività Economiche. 

Le grandi banche sono più esposte a potenziali perdite dato che le loro esposizioni creditizie tendono ad essere meno garantite. La perdita media in caso di default sulle esposizioni creditizie, infatti, oscillerebbe dal 30% per le banche più piccole a quasi il 50% per le banche più grandi. 

Soprattutto nel caso di una transizione tardiva, le banche sarebbero esposte per periodi di tempo molto prolungati ai rischi di credito legati tanto alle famiglie quanto alle imprese, soprattutto quelle più colpite dalla transizione (quindi appartenenti a settori inquinanti). Nel caso dello scenario di transizione accelerata, invece, i rischi di credito verrebbero superati dal 2026. 

Al contrario, nello scenario di transizione ritardata si registrerebbe un aumento continuo del rischio di credito fino al 2030, che innescherebbe altri rischi di credito per le banche anche oltre quella data. Pertanto, la BCE conclude sostenendo che una transizione accelerata porterebbe al miglior compromesso tra rischio di credito e rischi di transizione.

Nel caso del secondo canale di trasmissione, quello del rischio di mercato, la BCE evidenzia che esso agisce attraverso una rivalutazione dei portafogli di obbligazioni societarie delle banche in base alla sensibilità al rischio di transizione nel tempo. Dai risultati dell’analisi emerge che, nell’arco di otto anni, le perdite assolute sui portafogli di obbligazioni societarie sarebbero limitate, ma non trascurabili rispetto alle dimensioni del portafoglio. Inoltre, tali perdite sarebbero più gravi negli scenari di transizione tardiva. Infine, come per il rischio di credito, le perdite derivanti dal rischio di mercato dopo il 2030 sarebbero maggiori nello scenario di transizione ritardata rispetto agli altri due scenari, dato che le implicazioni del rischio fisico a lungo termine per le imprese sarebbero più pesanti nello scenario di transizione ritardata.