La biodiversità, cioè l’inestimabile varietà di esseri viventi che popolano il nostro Pianeta, è nel pieno di un rapido tracollo. Gli esseri umani ne sono sia i colpevoli sia le vittime. Perché, se circa un milione di specie animali e vegetali su 8 rischia l’estinzione, è perché l’uomo ha cambiato la destinazione d’uso degli ecosistemi, li ha depauperati delle proprie risorse, li ha inquinati, ha accelerato il riscaldamento climatico e, così, ha favorito la diffusione delle specie aliene invasive. L’uomo però ne paga anche le conseguenze, per il venir meno di quei servizi ecosistemici che la natura offre gratuitamente, come la fertilità del suolo e l’impollinazione: si stima che da essi dipenda almeno il 50% del prodotto interno lordo (PIL) globale.
Una delle strade possibili per tutelare la biodiversità è quella di riconoscere il suo valore economico e spingere gli attori privati a finanziare le azioni per la sua tutela. È questo il principio alla base dei crediti di biodiversità.
Indice
Definizione di credito di biodiversità
La definizione esatta proposta dalla Biodiversity Credits Alliance è la seguente: “Un credito di biodiversità è un certificato che rappresenta un’unità di biodiversity outcome (risultato di biodiversità) positivo, misurato e sostanziato da prove, che è durevole e addizionale rispetto a quanto sarebbe accaduto altrimenti”.
In altre parole, i crediti di biodiversità sono strumenti finanziari che attribuiscono un valore monetario ai risultati positivi conseguiti in termini di tutela della biodiversità. Ogni credito è un contratto che specifica l’azione di conservazione posta in essere, chi l’ha realizzata e dove, la metodologia che ha impiegato e il sistema di certificazione adottato. Una volta raggiunto questo risultato quantificabile, il credito di biodiversità può essere venduto sul mercato. Il meccanismo ricalca parzialmente quello dei carbon credits (crediti di CO2), ma i due sistemi sono diversi e indipendenti l’uno dall’altro.
Come funzionano i crediti di biodiversità
Nel concreto, dunque, come funzionano i crediti di biodiversità? Un’organizzazione no profit, un governo, un proprietario terriero o un’azienda intraprende un’attività che ha un impatto positivo su un ecosistema, generando così un certo numero di certificati (i crediti, appunto). Ciascuno di essi corrisponde a una determinata area tutelata o ripristinata in uno specifico periodo di tempo. Un’azienda privata può acquistare questi crediti per contribuire a raggiungere i propri obiettivi in termini di biodiversità, intesi in termini positivi. Non bisogna fare confusione con le compensazioni che, viceversa, servono per pareggiare gli inevitabili impatti negativi di alcune attività dell’azienda stessa.
Cosa si intende per “biodiversity outcome”
Dalla definizione di credito di biodiversità è evidente come tutto si giochi sul raggiungimento di un “biodiversity outcome” positivo: in pratica, è la differenza che intercorre tra un determinato contesto con o senza l’attività che conferisce i crediti. Più nel dettaglio, questo risultato può arrivare in tre modi:
- lo stato della biodiversità migliora;
- si previene il futuro declino della biodiversità;
- si mantiene intatta la biodiversità attuale.
Metodologia per il calcolo dei crediti di biodiversità
Questi tre “biodiversity outcome” vanno misurati con una metodologia appropriata, che può tenere in considerazione varie metriche; per quanto sofisticata, tuttavia, qualsiasi misurazione comporta comunque una certa dose di approssimazione. Bisogna inoltre trovare il giusto equilibrio tra esigenze diverse: da un lato bisogna valutare ogni progetto nella sua specificità, perché gli ecosistemi hanno caratteristiche molto eterogenee; dall’altro lato, bisogna far sì che i vari progetti siano comparabili l’uno con l’altro.
Durata dei crediti di biodiversità
Un’altra caratteristica fondamentale è la cosiddetta durability. In sostanza, se un progetto rilascia crediti di biodiversità, deve poter assicurare che i suoi risultati siano presumibilmente destinati a durare per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Di norma, l’impatto positivo dura nel tempo se è supportato da adeguate misure fiscali e legali, come l’istituzione di nuove aree protette o l’aggiornamento delle loro strategie di gestione, o le restrizioni allo sfruttamento delle risorse naturali, o altri interventi analoghi.
Cosa si intende per addizionalità
La condicio sine qua non per poter attribuire crediti di biodiversità a un progetto è l’addizionalità: in sostanza, bisogna poter dimostrare che quei biodiversity outcomes non sarebbero mai stati raggiunti senza il progetto stesso. In altre parole, dev’esserci un rapporto causa-effetto misurabile in termini qualitativi e quantitativi.
Compensazioni di biodiversità e crediti di biodiversità
Anche per analogia con il sistema dei carbon credits, è comune confondere i crediti di biodiversità con le compensazioni di biodiversità. In effetti, i due sistemi possono essere strutturati in modo simile ma sono finalizzati a obiettivi differenti. I crediti, infatti, permettono alle aziende di investire in progetti di conservazione e ripristino della biodiversità; le compensazioni, viceversa, sono costi che le aziende sostengono per risarcire almeno parzialmente (compensare, appunto) i danni agli ecosistemi generati dalle loro stesse attività.
Per visualizzare il principio delle compensazioni, è utile immaginare i due piatti della bilancia: sul primo ci sono gli impatti negativi delle attività economiche e industriali, sul secondo gli impatti positivi delle iniziative di conservazione e ripristino. L’intento è quello di azzerare la perdita netta di biodiversità. La compensazione però non è sufficiente, ma va considerata come uno step di un percorso più articolato. Il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) e il World Conservation Monitoring Centre lo riassumono così:
- evitare gli impatti negativi, ove possibile;
- ridurre al minimo questi impatti, se necessario;
- ripristinare e riabilitare l’ambiente;
- compensare i danni inevitabili e necessari attraverso azioni di conservazione;
- maturare benefici ambientali nel tempo.
Esempi di crediti di biodiversità
Nel panorama, ancora piuttosto innovativo e in evoluzione, dei crediti di biodiversità, ci si imbatte anche in un esempio italiano. Regione Lombardia, insieme a Fondazione Cariplo ed Etifor, ha infatti lanciato il bando BioClima per il co-finanziamento pubblico-privato orientato alla tutela della biodiversità, all’adattamento al cambiamento climatico e alla valorizzazione dei servizi ecosistemici di foreste, aree protette e reti ecologiche del territorio. Dal lato opposto del Pianeta, in Nuova Zelanda, le cosiddette “sustainable development units” hanno permesso di finanziare la gestione di 83 ettari del santuario del monte Maungatautari, nella regione di Waikato. In Colombia, ogni credito volontario di biodiversità (noto con la sigla VBC) ha un prezzo di 30 euro e corrisponde a trent’anni di conservazione e/o ripristino di dieci metri quadrati della foresta pluviale Bosque de Niebla.
La Biodiversity Credit Alliance
A diffondere queste e altre informazioni è la Biodiversity Credits Alliance. Istituita durante la Cop15 sulla biodiversità che si è tenuta a Montreal nel 2022, ha proprio il compito di erogare le linee guida necessarie per l’insediamento di un mercato dei crediti di biodiversità che sia credibile e scalabile. La BCA vede il supporto dell’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, e dell’Agenzia svedese per lo sviluppo e la cooperazione internazionale (SIDA); tra i suoi stakeholder più importanti ci sono i popoli indigeni, in prima linea nella difesa dei propri territori.
Differenze tra crediti di carbonio e crediti di biodiversità
Il meccanismo dei biodiversity credits si inserisce nella scia di quello, più consolidato, dei carbon credits, in italiano crediti di carbonio (o, più correttamente, crediti di CO2). Ciascuno di essi è un certificato che corrisponde a una tonnellata di CO2 rimossa o non emessa in atmosfera attraverso un progetto di riforestazione, gestione forestale sostenibile, efficienza energetica o produzione di energia da fonti rinnovabili. Anche i carbon credits possono essere comprati e venduti; ad acquistarli sono le aziende che vogliono compensare quella quota di emissioni che non riescono a ridurre intervenendo sui propri prodotti e processi. Un sistema che ha raggiunto un’enorme popolarità ma, al tempo stesso, ha prestato il fianco anche a pesanti critiche. Critiche rivolte sia ad alcuni degli enti che certificano i carbon credits, accusati da varie inchieste giornalistiche di averne “gonfiato” i reali risultati, sia alle aziende che potrebbero fare un uso troppo disinvolto di tali strumenti per evitare altre misure di decarbonizzazione più incisive e costose. Il meccanismo dei crediti di biodiversità è molto più acerbo, ma non è da escludere che possa far sorgere perplessità analoghe.