Daniele Strippoli_Partner in Deloitte Climate & Sustainability biodiversità

COP16

Strippoli (Deloitte): cosa deve fare il board per incorporare la biodiversità nella governance

Nella giornata di ieri si è aperta a Cali, in Colombia, la Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica, meglio nota come Cop16 sulla biodiversità, in programma dal 21 ottobre al 1° novembre. L’incontro rappresenta il più importante vertice mondiale sulla biodiversità e si riunisce ogni due anni dal 1992, anno in cui al Summit della Terra di Rio de Janeiro (noto anche come Conferenza di Rio, proprio dal nome della città ospitante), 150 capi di stato partecipanti sottoscrissero la Convenzione sulla diversità biologica, un testo giuridicamente vincolante che si pone tre obiettivi: tutelare la biodiversità, fare un uso sostenibile della natura e ripartire in modo giusto ed equo i benefici che ne derivano per concordare una strategia globale per lo sviluppo sostenibile. Da allora i Paesi partecipanti sono diventati 193 e rispetto ai temi di biodiversità c’è oggi una crescente attenzione anche da parte delle aziende. Sono sempre più evidenti i rischi legati alla perdita di biodiversità e alla dipendenza dalla natura da parte delle imprese. A questa evoluzione hanno risposto i recenti sviluppi normativi che includono nella disclosure richiesta alle aziende anche un quadro sull’approccio alla protezione della biodiversità e alla gestione dei rischi ed opportunità derivanti da impatti e dipendenze dalla natura.

E proprio sull’importanza della natura per il mondo delle imprese e della finanza sarà presentato il report Nature in the Boardroom redatto da UNEP FI, l’iniziativa finanziaria del programma delle Nazioni Unite che riunisce oltre 500 banche, assicurazioni e istituzioni finanziarie per accelerare lo sviluppo sostenibile, insieme a Deloitte. Alla vigilia dell’incontro abbiamo chiesto a Daniele Strippoli, Partner di Deloitte Climate & Sustainability e Responsabile Europeo per i servizi Nature Positive di Deloitte, coautore della guida che presenterà al summit, di spiegare qual è il ruolo delle aziende e quali sono le best practice per i consigli di amministrazione per incorporare il rispetto della biodiversità nella propria governance.

Fra pochi giorni si apre la COP16 quali sono le principali aspettative verso questo importante appuntamento?

Le aspettative sono tante ed articolate; ritengo che anzitutto sarà fondamentale trovare risposte concrete per il raggiungimento degli obiettivi posti per il 2030 e il 2050. È oramai consolidata l’ambizione di invertire il trend e raggiungere obiettivi “Nature Positive”. L’agenda istituzionale dovrà trovare: i) soluzioni concrete rispetto agli indicatori di monitoraggio del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (KMGBF) al fine di garantire opportunità di monitoraggio e trasparenza di rendicontazione e ii) mobilitare fondi e risorse per rafforzare le capacità tecniche e scientifiche e garantire l’accesso ai finanziamenti per i Paesi meno sviluppati e con economie in transizione. L’agenda delle aziende e delle Istituzioni finanziare dovrà invece trovare risposte e strumenti per attuare la trasformazione dei modelli di business che la sfida richiede. Dal punto di vista personale, la mia aspettativa è quella di potermi confrontare a Cali con la comunità scientifica (e non) di riferimento, approfondendo ulteriormente quali sono gli strumenti concreti per supportare i clienti nella definizione di strategie ambiziose. Seguirò con particolare interesse le sessioni che mettono a contatto il mondo delle soluzioni (Nature Based Solutions) con il mondo della finanza, degli investitori e delle Corporations.

Quali segnali vede riguardo le promesse della COP15: sono state disattese o stanno iniziando a dare i propri frutti?

Il principale risultato della COP15 è stata l’adozione di un quadro globale sulla biodiversità per il periodo post-2020 (Accordo Kunming-Montreal – Global Biodiversity Framework). L’accordo raggiunto è costituito da 4 macro-obiettivi e da 23 target specifici con la finalità di fermare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030. Le evidenze scientifiche indicano come il raggiungimento degli obiettivi al 2030 sia ancora molto lontano e questo è sicuramente l’elemento più disatteso: è infatti difficile definire lo stato di avanzamento dei lavori, proprio perché sarà compito – non semplice – della COP16 la definizione dei sistemi di monitoraggio dei 23 target.

In questo contesto, ritengo tuttavia ci siano alcuni segnali positivi: innanzitutto, l’Accordo è stato epocale nell’indirizzare l’attenzione rispetto alla tematica. Inoltre, ritengo che lo sviluppo di standard di riferimento, di soluzioni e metodologie e lo sviluppo tecnologico (ad esempio mediante un miglior accesso a dati e interpretazioni satellitari) abbiano avviato un percorso virtuoso che sta rendendo sempre più partecipativo il contributo delle aziende e delle istituzioni finanziarie a quello che è oggi ancora un dialogo di livello politico.

Cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento sono aspetti interconnessi di una triplice crisi planetaria. Qual è la sua opinione su come affrontare queste sfide simultaneamente?

È essenziale che gli sforzi siano integrati. Non possiamo più trattare questi problemi come crisi separate, poiché sono profondamente legati tra loro. È oramai noto che la perdita di biodiversità è fortemente accelerata dal cambiamento climatico e, viceversa, il ripristino della biodiversità può essere una leva per l’adattamento allo stesso. Dobbiamo quindi adottare strategie olistiche per affrontare tutte queste sfide contemporaneamente, utilizzando approcci che comprendano il cambiamento climatico, la conservazione della biodiversità e la lotta all’inquinamento. All’atto pratico, sarà fondamentale implementare strategie lungo le catene del valore che siano in grado di gestire i rischi mediante strategie di adattamento e, al contempo, sappiano cogliere le opportunità derivanti dalle nuove prospettive di mercato (ad esempio tramite le Nature Based Solutions). Ritengo che, nel contesto Europeo, l’effettiva implementazione della EU Nature Restoration Law potrà fornire elementi concreti per agire a questi livelli.

Un ruolo importante è ricoperto dalle istituzioni finanziarie. Quale percorso avete individuato per aiutarle a integrare le considerazioni sulla natura nei loro framework di governance?

Così come sta accadendo per il cambiamento climatico, le istituzioni finanziarie devono integrare la natura nei loro processi di governance e supervisione a livello di board per mitigare i rischi legati alla natura e promuovere una sostenibilità a lungo termine. Ciò significa che i consigli di amministrazione devono esplorare le complessità legate alla natura e prendere iniziative mirate per far fronte a queste sfide adottando obiettivi strategici aziendali che tengano conto di importanti framework internazionali come il Global Biodiversity Framework. Su questi argomenti verte la pubblicazione Nature in the Boardroom che sarà presentata oggi a Cali e che è frutto di una collaborazione tra Deloitte e UNEP-FI.

In generale, oggi riscontro una crescente consapevolezza verso i temi di biodiversità e natura e, ad esempio, molti istituti finanziari stanno già lavorando per inserire anche questi parametri nella gestione sostenibile dei loro portafogli, dopo lavorato in modo approfondito sull’agenda climatica. Tuttavia, la consapevolezza deve essere supportata in modo concreto dalla disponibilità di dati puntuali e accurati, e dalla comprensione delle specificità di impatti e dipendenze dei differenti modelli di business delle controparti in portafoglio. A questo proposito, si stanno sviluppando diversi strumenti e standard e nutro particolari aspettative da quanto potrà emergere dai lavori di Cali.

Quali sono i trend emergenti che spingono le aziende ad adottare questo approccio integrato?

Ci sono quattro tendenze chiave. La prima riguarda i trend normativi, come la CSRD, il TNFD e SBTN, che stanno creando un quadro normativo molto più stringente per le aziende definendo linee guida per l’analisi di materialità, le aspettative di disclosure e le modalità per definire target basati su presupposti scientifici legati alla natura. Poi ci sono i doveri legali e fiduciari, che stanno diventando sempre più rilevanti. Il terzo trend riguarda i rischi finanziari, poiché la natura rappresenta una nuova area di preoccupazione per i mercati finanziari. Infine, ci sono le aspettative sociali e climatiche dei clienti, che chiedono una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità e trasparenza nella comunicazione associata.

Quali potrebbero essere gli impatti economici di questi rischi finanziari legati alla natura?

Gli impatti possono essere notevoli. Parliamo di volatilità dei prezzi delle materie prime, interruzioni nella disponibilità di risorse e nei processi produttivi e persino di stranded asset. Il tema della materialità finanziaria dei DIROs (Dependencies, Impacts, Risks and Opportunities) è oggi uno dei temi chiave su cui diversi gruppi di lavoro si stanno confrontando (su questo, posso portare l’esperienza diretta tramite la partecipazione ai gruppi di lavoro Nature Positive di WBCSD). Sebbene non siano ancora disponibili chiare linee guida settoriali per la valorizzazione di questi impatti è evidente come essere negligenti riguardo ai rischi legati alla natura può compromettere la sostenibilità del business a lungo termine. In estrema sintesi, occuparsi di natura è un elemento di resilienza per le filiere e, di conseguenza, per i modelli di business come li conosciamo.

Quali strategie potrebbero migliorare la responsabilità dei Board in questo contesto?

I temi riguardanti biodiversità e natura sono complessi e articolati e riguardano direttamente ed indirettamente tutte le funzioni aziendali; pertanto, la comprensione del problema (e dei rischi e opportunità ad esso associati) è il primo passo, che deve venire ancor prima del disegno strategico. Ultimamente ho avuto modo di condurre diverse sessioni di “Board Induction” e questo è sempre stato un passaggio fondamentale per avviare un dialogo interno alle aziende per poi delineare azioni concrete.

Così come sta accadendo per il cambiamento climatico, il ruolo proattivo dei Board nello stabilire un framework di governance che includa la natura nella pianificazione strategica è fondamentale. Questo è, peraltro, uno dei requisiti chiave del TNFD.

Il secondo passo è la definizione di obiettivi concreti e misurabili -utilizzando ad esempio le metodologie proposte da SBTN – che dovrebbero trovare un riscontro nei sistemi di incentivazione dei dirigenti, anche considerando la necessità di lavorare su quest’agenda in modo collaborativo tra le diverse divisioni aziendali.

Infine, sottolineo l’importanza di non soffermarsi solamente sulla gestione dei rischi, anche se sembra la dimensione più immediata e urgente. Sono infatti molte le opportunità che si stanno prospettando sia rispetto ai modelli di business sia rispetto alla gestione della tematica lungo la catena del valore. In tal senso, rinnovo l’importanza del confronto dei membri del Board con stakeholder esterni qualificati e in grado di rappresentare in modo chiaro i rischi ed opportunità associati ad un tema molto complesso ed articolato.