Certificazioni energetiche e ambientali, moda o necessità? La risposta più diretta è che le certificazioni green sono imprescindibili per gli immobili di qualità, ma non bisogna trascurare quelle legate alla sicurezza, come l’antisismica e antiincendio, per ovvie ragioni di priorità. Un altro tema è legato alla loro obbligatorietà: è giusto che rimangano volontarie e attendere che il mercato raggiunga la sua situazione di equilibrio oppure si corre il rischio che rendendole obbligatorie diventino un business fine a se stesso? E ancora, quali sono le variabili da includere nella corretta valutazione di un investimento immobiliare in modo da non attrarre solo gli investitori speculativi? In altre parole, come inserire in un business plan immobiliare l’impatto sociale di uno sviluppo immobiliare valutando il tema della sicurezza (ad esempio in una grande città con periferie invivibili) e quello della rete di infrastrutture presenti, a partire dal verde pubblico fino al sistema di trasporto locale e di connessione informatica?
Sono questi alcuni dei temi affrontati nel corso dell’appuntamento del 17 settembre dei Breakfast del Manifesto dell’Abitare organizzato in partnership con ESGnews dal titolo “Real Estate e protocolli di certificazione ambientale e di sicurezza, necessità deontologica e opportunità di investimento”. A discutere di questi temi Davide Luraschi, Vicepresidente Collegio Ingegneri e Architetti di Milano e Massimiliano Pulice, Head of Urban Regeneration and Infrastructures CDP, moderati da Alessandra Frangi, founder di ESGnews.
Il settore immobiliare è uno dei più coinvolti dai processi di trasformazione sostenibile e il mondo delle costruzioni è considerato responsabile del 37% delle emissioni di CO2 legate all’energia e rappresenta il 34% della domanda energetica a livello globale. In questo ambito l’impulso normativo, con la direttiva Energy Performance of Buildings Directive (EPBD), la cosiddetta direttiva case green, è forte e pone obiettivi molto ambiziosi come raggiungere un parco immobiliare a emissioni zero e completamente decarbonizzato entro il 2050 e l’obbligo di costruire nuovi edifici a emissioni zero sin dal 2030. E nel frattempo cresce il numero delle certificazioni sempre più richieste dagli investitori. Solo per avere un’idea basti pensare che nella guida ESGmakers sull’abitare realizzata da ESGnews ne sono state sintetizzate 18.
Concentrare l’analisi sul singolo edificio è però limitante, ha sottolineato Pulice. Le certificazioni, infatti, oltre al beneficio sul singolo immobile sono uno strumento utile nei progetti di riqualificazione di intere aree e quartieri. La riduzione del consumo di suolo, infatti, passa attraverso un’accorta opera di rigenerazione urbana e non può prescindere dal dialogo e da forme di partenariato tra pubblico e privato. Un’esigenza sempre più avvertita in Italia il cui know how nel settore edilizio è riconosciuto anche a livello internazionale e per il quale le certificazioni rappresentano solo un primo passo nella costruzione di valore immobiliare. E per aumentare questo valore è fondamentale la capacità di valutare l’impatto sociale di uno sviluppo immobiliare (equitizzare si potrebbe dire con il gergo degli esperti) con valutazioni che devono andare oltre il breve termine e tenere conto anche delle esigenze delle generazioni future, ha commentato Pulice.
La necessità di attenzione costante ad un edificio è stata esemplificata da Luraschi con la cosiddetta teoria dei vetri rotti, cioè non avere cura di un singolo edificio mancando di intervenire quando si rompe un vetro avvia in qualche modo il deterioramento dell’edificio stesso che finisce per propagarsi anche all’area limitrofa. Naturalmente vale anche il processo inverso: un immobile in ordine può innescare un circolo virtuoso nell’area in cui si trova. Tutto questo per dire che gli immobili devono essere sostenibili (e quindi ben vengano tutte le iniziative per renderli meno energivori) ma devono anche essere oggetto di una manutenzione attenta che punti innanzitutto alla sicurezza. Che cosa serve per raggiungere questo obiettivo? Uno strumento utile può essere la digitalizzazione del territorio ma non solo di quello che è costruito in superficie ed è visibile (per cui qualcosa è già stato fatto) ma anche di quello che si trova nel sottosuolo. Non esiste allo stato un database italiano unico su che cosa si trova sotto un’area in termini di connessioni, tubature, eventuali tracce di amianto, etc. Questa è una grande difficoltà per chi vuole valutare l’investimento in una determinata area e non sa che cosa aspettarsi al momento degli scavi. Questo tema viene affrontato dagli esperti con l’espressione del digital twin, vale a dire della replica digitale di un sistema fisico che permetta di scoprire in maniera più economica e rapida eventuali criticità di un territorio.
Tornando al tema della sicurezza e della qualità dell’abitare, è stato citato il CIS (Certificato di Idoneità Statica), previsto dal regolamento edilizio di Milano per gli edifici con più di 50 anni, per valutarne le condizioni di durabilità nel tempo. Oltre a questo, Luraschi sottolinea la necessità di una certificazione che attesti e confermi il maggior impegno in termini di prestazioni antincendio raggiunte da un edificio al di là di quanto richiesto dalla normativa.
C’è chi chiama resilienza la capacità degli edifici di sopportare eventi esterni (dal sisma all’incendio), indipendentemente dalla terminologia questi aspetti devono essere coniugati con quelli della sostenibilità. Un esempio evidente di questa necessità è fornito dalla cosiddetta legge del 110%, a seguito della quale in Italia è aumentato il numero di edifici che si è dotato di un cappotto termico: un elemento positivo se si pensa al risparmio energetico possibile ma che può rivelarsi un rischio se non viene data la necessaria attenzione al tipo di materiale isolante utilizzato e a come viene posato, per non parlare delle esigenze di smaltimento.
In futuro il consumatore e il mercato premieranno quegli edifici che oltre alla sostenibilità punteranno anche sulla sicurezza statica e antincendio contribuendo non solo a migliorare il loro contesto ma anche il contesto urbano.
Quando si parla di residenza infatti, si parla di preservare la cosa più cara alle persone, un bene che racchiude in sé l’essenza stessa dell’architettura, un bene economico ma anche un bene immateriale in termini di ricordi.
In conclusione, per gli immobili, a maggior ragione per quelli acquistati con finalità di investimento, andrebbero fatti dei check up periodici come avviene per controllare lo stato di salute delle persone, in modo da capire il valore effettivo di un edificio dal punto di vista dell’impiantistica e dei sistemi di sicurezza. Il mercato finirà così per privilegiare gli edifici migliori, cioè con maggiori caratteristiche di sicurezza e minore impatto ambientale, indipendentemente dall’obbligatorietà delle varie certificazioni. Rimane aperta la questione di trovare soluzioni anche per gli immobili senza certificazioni e con minori qualità in modo da salvaguardare anche le fasce più deboli della popolazione.