Fragola Cristina CBRE Italy | ESG news

Intervista ESGmakers

Fragola (CBRE): sempre più attenzione alle caratteristiche di sostenibilità degli asset immobiliari

Maggiore consapevolezza e volontà di selezionare immobili con ben definite caratteristiche ESG. L’attenzione alla sostenibilità anche nel settore del real estate è oramai un processo ineludibile, in un contesto normativo e di emergenza climatica e sociale sempre più evidente nel quale anche gli investitori mostrano aspettative sempre più elevate nella selezione degli asset. In questo scenario, CBRE, la maggiore società di consulenza e servizi immobiliari, con oltre 130mila professionisti in circa 100 paesi nel mondo, ha fatto la scelta di sposare completamente la trasformazione ESG, ponendosi come modello per i propri clienti e partner.

“L’attenzione alla sostenibilità non è più qualcosa nice to have, ma un requisito complesso, sempre più indispensabile anche per la crescente richiesta da parte di residenti e investitori”, fa notare Cristiana Fragola, Head of Esg & Sustainability Solutions di CBRE Italy. Da una parte quindi la spinta degli inquilini mossi da esigenze di benessere e da una crescente richiesta di qualità della vita caratterizzata da un equilibrio tra gli spazi privati e quelli lavorativi, dove il livello delle condizioni di ambiente e servizi sono essenziali. Dall’altra quella degli investitori, che sempre più si pongono stringenti parametri ambientali sociali e di governance per i propri portafogli, anche per ottemperare alle nuove norme come la EPBD per le abitazioni o Basilea 4, sui rischi bancari, che già dal prossimo anno impone una maggiore rendicontazione e gestione di rischi anche in ambito ESG. “La considerazione di partenza” spiega in questa intervista a ESGnews Fragola, “è che il settore immobiliare pesa per circa il 40% sulle emissioni che gravano sul pianeta, con un ruolo innegabile nell’attuale emergenza climatica. Pesano in particolare le operations (a cui viene riferito circa il 28%-30% delle emissioni globali di questo settore, mentre il resto è embodied carbon ) vale a dire le attività legate alla gestione e manutenzione delle proprietà a livello energetico, idrico o di approvigionamento di materiali, smaltimento dei rifiuti oltre che in materia di sicurezza e di servizi per chi occupa gli immobili”.

Il settore del real estate è uno dei più rilevanti sul fronte delle emissioni. Ritiene che, tra spinta normativa e maggiore consapevolezza, si stia innescando un cambiamento verso procedure e tecnologie più sostenibili?

Si, è quello che stiamo riscontrando dal nostro osservatorio come advisor di grandi investitori e gestore di proprietà immobiliari ed emerge anche dalle ricerche sulle tendenze di mercato. Nel caso delle procedure bisogna parlare anche di governance. In particolare, nell’ambito del sustainable procurement, cioè dell’integrazione delle considerazioni sulla sostenibilità nei processi di approvvigionamento e decisionali sia di attori pubblici sia privati, riscontriamo una crescente sensibilità ai temi ESG da parte degli organi dei cda o dei collegi sindacali e si sta intensificando la presenza di esperti o l’incremento di competenze sulle tematiche ESG dei componenti dell’organismo. La sostenibilità non è più un tema relegato al marketing, ma permea tutte le attività, anche nella definizione dei costi e benefici di un investimento.

In questo ambito, la tecnologia riveste un ruolo centrale: non è un caso che si parli sempre più spesso di Twin Transitions, vale a dire contemporanea creazione di valore in ambito green e digital. La tecnologia rappresenta un elemento chiave per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi e i suoi progressi, incluse le potenzialità fornite dalla generative AI, permetteranno di accelerare i tempi per il raggiungimento dei traguardi fissati.

L’intelligenza artificiale, per esempio, fornisce elementi per valutare in modo accurato la building performance, con soluzioni di BMES, building management energy systems. Può essere di grande aiuto per delineare scenari di utilizzo più accurati in situazioni di riorganizzazione degli spazi di asset immobiliari in disuso, da realizzare in maniera funzionale per favorire l’integrazione tra qualità della vita quotidiana e gestione lavorativa, i progetti cosiddetti di mixed-use development, che si stanno rivelando una soluzione importante di sviluppo del settore anche in risposta alle nuove esigenze di pianificazione urbana che tiene conto di molte e diversificate nuove esigenze tra le quali la raggiungibilità dei servizi a piedi in poco tempo.

Insieme agli aspetti della governance e della tecnologia, vi è anche il grande tema della natura nelle normative e dei benefici che si possono associare alle nature based solutions. Che cosa ne pensa?

Abbiamo parlato prima del grande valore della tecnologia nei processi di transizione, ma questo non vuol dire certo trascurare il valore della natura. A giugno l’Unione Europea ha dato il via libera all’adozione della normativa  per ripristinare le aree naturali già degradate: la Nature Restoration Law. La legge sul ripristino della natura costituisce un elemento importante del Green Deal e della strategia dell’Ue per la biodiversità, con una tabella di marcia in tre tappe: 2030, 2040 e 2050. Le nature based solutions, infatti, hanno un ruolo rilevante nel nostro settore per rendere concreto il concetto di sostenibilità.

In questa direzione, una soluzione semplice ed efficace per rendere più sostenibili i centri abitati, può essere la piantumazione di nuovi alberi, purchè pianificata in linea anche con eventuali danni che possono portare gli eventi climatici: un’iniziativa suggestiva è stata la sfida MillionTreesNYC, lanciata dalla città di New York nel 2007 e che ha portato a piantare il milionesimo albero nella grande mela nel 2015.

Altre iniziative, sempre legate alla natura, possono essere i giardini pluviali, che permettono di favorire lo smaltimento delle acque e di ridurre i danni derivanti da alluvioni ed eventi climatici estremi. Tetti verdi e giardini pensili aiutano a ridurre la temperatura e forniscono effetti positivi anche in termini di biofilia. Pensiamo agli orti urbani, che portano benefici anche a livello sociale. I vantaggi delle diverse iniziative, infatti, non si manifestano solo dal punto di vista climatico, ma possono riguardare anche aspetti di benessere e salute.

CBRE, in quanto uno dei principali advisor mondiali nel settore del real estate, ha un ruolo particolarmente rilevante nel favorire questa trasformazione, quali sono le vostre priorità sul fronte della sostenibilità?

Vista l’importanza annessa alla sostenibilità da CBRE, ci siamo posti numerose ambizioni. Siamo consapevoli del ruolo del real estate per quanto riguarda le emissioni e l’emergenza climatica. Per questo abbiamo fissato obiettivi di riduzione delle emissioni collegate alle operations, al trasporto, al procurement e all’energia, che per il 2025 contiamo di avere solo da fonti rinnovabili. Per quanto riguarda la nostra attività di advisory per ottenere risultati significativi in chiave ESG si snoda in diverse fasi: si parte dalla diagnosi dello status quo e si procede alla mappatura della curva delle emissioni e di decarbonizzazione di un edificio in modo da evidenziare i rischi climatici, si delineano scenari di miglioramenti tenendo in conto performance e rischi anche per coloro che occupano gli immobili, ma anche della struttura manageriale, e infine viene effettuata un’attenta analisi di costi e benefici. Per valutare i costi effettivi degli investimenti in soluzioni sostenibili che si intendono realizzare, infatti, bisogna considerare non solo gli oneri necessari per l’adeguamento alle normative, ma anche i vantaggi derivanti dalla riduzione dei diversi costi di gestione, come per esempio quelli di manutenzione, di assicurazione, di sanzioni e di rischio creditizio degli immobili.

CBRE è stata inclusa nella classifica di Forbes delle 100 aziende americane meglio posizionate per raggiungere il Net Zero. Quali sono le metodologie che applicate per riuscire a ridurre le emissioni come azienda e soprattutto nei confronti dei vostri fornitori?

Planet, people e practices sono i pilastri su cui stiamo concentrando la nostra strategia di CSR. Questo vuol dire, in concreto, lavorare sulle operations e fare in modo di ridurre l’impatto in vario modo, dai trasporti dei pendolari alle emissioni relative ai nostri uffici nel mondo. Ci sforziamo di avere pratiche di eccellenza, incluse misure proattive per rendere gli edifici più sostenibili dal punto di vista ambientale, per potere dare l’esempio, poiché abbiamo obiettivi di sostenibilità simili a quelli dei nostri clienti e affrontiamo le loro stesse sfide.

Vi siete posti un ambizioso target in ambito di emissioni puntando al Net Zero per il 2040. Quali passi avete individuato per raggiungerlo?

Come CBRE sentiamo la responsabilità di avere un ruolo attivo nel nostro settore e di conseguenza le nostre attività in tutti i paesi in cui siamo presenti si basano su pratiche responsabili. In particolare, il nostro approccio si basa sulla semplificazione della complessità, per accelerare la sostenibilità del settore su larga scala.  Siamo consapevoli che, anche nei rapporti tra le imprese, deve esserci un cambiamento passando da logiche competitive a collaborative. Anche a livello di gestione interna sentiamo questa interdipendenza: la mentalità cosiddetta “a silos”, cioè a compartimenti stagni delle diverse attività da svolgere, non è più adeguata. Bisogna ragionare con una logica di ecosistema. Uno delle nostre priorità è ridurre le emissioni nel nostro procurement. Abbiamo relazioni con circa 130 mila fornitori in tutto il mondo e questo ci conferisce una grande influenza, che cerchiamo di usare al meglio attraverso la nostra piattaforma di procurement.

La gestione della sostenibilità, inoltre, deve avere riscontri oggettivi ed essere valutata da organizzazioni esterne, come per esempio EcoVadis, da cui CBRE ha ottenuto la valutazione Platinum, che ha collocato il gruppo nel top 1% delle aziende a livello globale.

Quali altri ambiti della sostenibilità rivestono per voi particolare importanza?

I temi sociali rappresentano un altro elemento fondamentale e non possono essere separati da quelli ambientali. La necessità di un cambio del paradigma dei valori è evidente e va sottolineata ancora una volta. Non viviamo più nell’era nella quale si pensava che le risorse fossero infinite, quel mito innescato dalla prima industrializzazione e cresciuto fino ai nostri giorni. L’economia oggi non può più quindi essere solo estrattiva, con un consumo continuo di risorse. Deve invece diventare rigenerativa, grazie allo sviluppo di modelli di riciclo. Nel settore dell’edilizia queste considerazioni riguardano sia il momento della costruzione degli edifici sia quello dello smaltimento dei materiali. Negli ultimi 25 anni è cresciuta la sensibilità su questi temi e il concetto di sustainable procurement, centrale in questi processi, è stato rafforzato e imposto da direttive europee come la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD) approvata quest’anno, che impone alle società il dovere di diligenza lungo tutta la catena del valore, e la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) che richiede l’“analisi della doppia materialità”, ovvero l’analisi sia degli impatti sociali che ambientali generati da una società e dei loro effetti finanziari., come rischi o opportunità

Un’ultima considerazione sulla situazione immobiliare italiana?

Parlando dell’Italia, la riqualificazione del patrimonio edilizio è un tema che non può essere rinviato, viste anche le scadenze della direttiva europea sulle case green. Anche in questo caso occorre applicare una logica collaborativa, tra pubblico e privato: è necessaria per creare nuove formule di incentivi fiscali. Perché il problema principale non è la scarsità dei capitali, ma la mancanza di buone formule di investimento.

Per gestire al meglio questo processo può essere utile ispirarsi ad esperienze di successo, come quella dell’amministrazione Bloomberg a New York o della Commissione Europea: credo quindi che una task force interministeriale e che coinvolga anche le società private ed il terzo settore possa essere una soluzione utile, perché questa è una sfida che non si può vincere senza il contributo di ogni attore della società e dell’economia.